Solo in Trentino Alto Adige le pensioni reggono

Solo in Trentino Alto Adige le pensioni reggono. L’Italia non è pronta per il contributivo puro. Demozzi (SNA): molti dovrebbero riflettere

 

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Solo in Trentino Alto Adige le pensioni reggono

MILANO – Secondo i dati diffusi dal centro studi di Itinerari Previdenziali, solo il Trentino Alto Adige reggerebbe un sistema pensionistico di tipo contributivo. Per ogni 100 euro di prestazioni previdenziali il Trentino Alto Adige ne versa 106, ed è l’unica regione italiana con saldo positivo. Seguono Lombardia (copertura al 97%) e Veneto (95%). Il Lazio ha un tasso di copertura del 87%. La percentuale dei contributi versati da ogni singola regione a copertura delle uscite per prestazioni, scende via via fino a raggiungere il 47% in Molise, il 45% in Sicilia e il 36% in Calabria. A livello nazionale per ogni 100 euro di prestazioni le contribuzioni passano dagli 84 euro medi incassati nel triennio 1980-1982 ai 72,83 euro medi nel triennio 2001-2003, per arrivare ai 76,19 del 2015. È quanto mette a fuoco, fra le altre cose, il recente Rapporto n. 6/2017 sulla regionalizzazione del bilancio previdenziale del Centro studi di Itinerari Previdenziali.

Appare evidente quanto un sistema contributivo puro, in Italia, sia ben lontano dal reggere il peso di un livello delle prestazioni che devono fare i conti con un disavanzo complessivo per l’INPS di oltre 40 Miliardi di euro (dati 2015). Di questo, il Sud assorbe il 49,89% del deficit (21 mld) contro il 18,86% del Centro (7,9 mld) e il 31,25% del Nord (13,16 mld). Il Trentino è l’unica regione con un attivo di bilancio (+ 200 milioni). Mentre le regioni che presentano deficit pesanti sono Piemonte, Sicilia, Puglia, Campania, Toscana, Calabria e Liguria. La mancata copertura con i contributi versati della spesa pensionistica italiana non è una storia recente.

In rapporto al PIL la spesa pensionistica è passata dall’8,40% del 1980 al 10,77% del 2015, ma più per effetto della riduzione del prodotto interno lordo che per crescita in valore assoluto delle pensioni, a causa della crisi finanziaria che ha prodotto una riduzione sostenuta del denominatore pur in presenza di una crescita della spesa contenuta grazie alle due più importanti riforme del sistema (Amato e Dini).

Il Presidente Nazionale SNA, Claudio Demozzi, commenta a caldo i dati: “Abbiamo sempre sostenuto – sottolinea – che ricalcolare le pensioni degli italiani con il contributivo puro significherebbe mettere in atto una riduzione generalizzata pesantissima e cioè imporre sacrifici insopportabili per la popolazione; il contributivo puro va applicato solamente alle pensioni più ricche, oltre soglie molto elevate, mentre non ha senso per i contribuenti in generale. La soluzione tra l’altro non può certo essere il mero ricorso ai PIP delle Compagnie, che sono utili a chi può permettersi il lusso di versare cifre ragguardevoli ma non risolvono affatto il problema di chi deve fare i conti per arrivare a fine mese. Chi qualche anno fa – conclude Demozzi – immaginava di poter abbracciare, in Italia, il sistema contributivo puro evidentemente ignorava questi dati o semplicemente non aveva riflettuto a sufficienza sulla situazione del Paese, per non parlare di chi invocava il contributivo puro per gli Agenti di assicurazione: ignoranza, strumentalizzazione o remissività verso i desiderata dei poteri forti?”.

fonte http://www.snachannel.it

Pensione integrativa gli italiani non ci pensano

Pensione integrativa, nonostante gli italiani siano un popolo di rispamiatori, l’obiettivo di una rilevante copertura è ancora lontano.

Pensione integrativa gli italiani non ci pensano

Sono ancora troppi i lavoratori italiani che non hanno la minima idea di quanto potrà essere un giorno il loro assegno per la pensione, e, ancor più grave, non hanno messo in campo alcun progetto per integrare la rendita.

Eppure le soluzioni non mancano e il denaro nemmeno. Lo dice la Banca d’Italia affermando, con i dati, che gli italiano restano un popolo di risparmiatori. A febbraio 2017, i miliardi parcheggiati hanno raggiunto la cifra record di 1428. Tanto denaro e nessuna pianificazione nonostante i rendimenti vicini allo zero.

Un piccolo scossone lo ha portato la Busta Arancione, inviata lo scorso anno alle famiglie italiane, e contenente le proiezioni della futura pensione. L’effetto psicologico è stato un picco di iscrizioni ai fondi integrativi. Secondo i dati forniti dalla Covip sul 2016 i fondi pensione hanno contato 557 mila iscritti in più a quota 7,8 milioni (+7,7%). Siamo comunque ancora molto lontani dall’obiettivo.

Guardando ai numeri, in questi ultimi mesi queste forme pensionistiche hanno un po’ risentito del calo dei prezzi delle obbligazioni. «Si tratta comunque di investimenti di lunghissimo termine che si muovono su orizzonti di diversi decenni – ricorda Giuseppe Romano, direttore ufficio studi Consultique –. Vuol dire che le cedole che pagano le obbligazioni negli anni neutralizzeranno l’effetto del calo di prezzo».

Chi si è messo in luce è invece il Tfr. Il Trattamento di fine rapporto, nei primi tre mesi di quest’anno ha fruttato lo 0,80% contro, per fare un esempio, il -0,08% delle forme garantite dei fondi negoziali. L’anno scorso, invece, il Tfr aveva perso la gara con le altre forme pensionistiche. Nel 2016, i fondi negoziali e i fondi aperti hanno reso in media, rispettivamente, il 2,7 e il 2,2%. I Pip «nuovi» di ramo III hanno fatto 3,6%. II Tfr si è rivalutato, al netto dell’imposta sostitutiva, dell’1,5%.

In questi ultimi tre mesi il Tfr ha beneficiato del rialzo dell’inflazione a cui è ancorato. Sale, per una parte, insieme al rialzo dei prezzi. Negli anni Tfr e forme previdenziali complementari si sono sfidati con sorti alterne. Non sono mancati forti sbalzi. Nel 2008 per esempio, anno della crisi Lehman Brothers, i fondi negoziali hanno perso il 6% e quelli aperti il 14%. II Tfr invece ha guadagnato il 2,7%. Nel 2014, anno di inflazione a zero e di Borse al rialzo, i fondi negoziali e quelli aperti hanno fruttato il 7% mentre il Tfr si è limitato al+1,3%. (fonte  La Stampa Tuttosoldi)

Fondi pensione, le azioni che proteggono l’iscritto se il datore di lavoro non versa

Uno dei profili più delicati nel sistema previdenziale è rappresentato dal fenomeno delle omissioni contributive nei fondi pensione da parte del datore di lavoro. (di Carlo Giuro – Milano Finanza)

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Fondi pensione, le azioni che proteggono l’iscritto se il datore di lavoro non versa.

Domanda. Uno dei profili più delicati nel sistema previdenziale è rappresentato dal fenomeno delle omissioni contributive nei fondi pensione da parte del datore di lavoro…

Risposta. Il fenomeno è di particolare rilevanza e, come tale, ha più volte sottolineato la Covip, si è acuito per effetto della crisi finanziaria. Va ricordato infatti che il non versamento parziale o totale dei contributi determina un pregiudizio alla continuità e regolarità del flusso finanziario, indispensabile all’accrescimento della posizione individuale dell’aderente al fondo pensione. Non va infatti dimenticato che la previdenza complementare è strutturata sulla capitalizzazione finanziaria con la determinazione di un nesso causa effetto tra contributi versati e prestazioni pensionistiche integrative. Anche i fondi pensione vengono danneggiati perdendo masse critiche necessarie a conseguire economie di scala con particolare riferimento alla gestione finanziaria.

D. Quali sono le tutele previste dalla normativa previdenziale?

R. Va ricordato in premessa come nella previdenza complementare, a differenza di quanto avviene nella previdenza obbligatoria, non vige il principio della automaticità delle prestazioni. Altro elemento importante è poi rappresentato dal fatto che la normativa non definisce l’omissione né prevede specifiche sanzioni nel caso in cui essa si realizzi.

D. Chi può agire per la tutela di fronte al mancato versamento?

R. Va sottolineato che la normativa risalente al 2004 aveva previsto la contitolarità del credito tra lavoratore e fondo pensione che era così legittimato a rappresentare i propri iscritti nelle controversie aventi a oggetto i contributi omessi e l’eventuale danno derivante dal mancato conseguimento dei relativi rendimenti. La normativa di attuazione del 2005, entrata in vigore nel 2007, si è limitata a riconoscere la titolarità dei valori attribuiti in gestione. Nel quadro normativo attuale titolato ad agire è allora il solo lavoratore.

D. Cosa si può fare allora?

R. La premessa è che va in primo luogo perfezionato l’evento tutelato, vale a dire il raggiungimento dei requisiti per ottenere la prestazione di previdenza complementare (il termine di prescrizione è decennale). Durante la vita lavorativa, accertata l’omissione contributiva (attraverso gli estratti conto e le comunicazioni informative), si può però chiedere la tutela della propria aspettativa contributiva chiedendo il risarcimento del danno, ripristinando così l’integrità della propria posizione individuale. Il lavoratore può poi agire con azione di mero accertamento nei confronti del datore di lavoro per stabilire, ad esempio, l’esatto ammontare della contribuzione versata, ovvero per controllare l’esatta determinazione della base di calcolo della contribuzione medesima. Potrebbe per esempio esserci l’interesse di agire in giudizio per definire l’ammontare dei contributi. Un caso concreto è rappresentato dalla necessità di calcolare l’esatto importo delle anticipazioni che possono essere richieste al fondo pensione ovvero per valutare l’opportunita di dimettersi.

Il Governo è pronto a rivedere la tassazione su Tfr e fondi pensione

Il viceministro Morando ha spiegato che, da parte del Governo, c’è ampia disponibilità a valutare le proposte di correttivi su Tfr e fondi pensione

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Il Governo è pronto a rivedere la tassazione su Tfr e fondi pensione

dal sito www.cgiamestre.com

Se non saranno raggiunti gli obiettivi di bilancio, nel 2016 scatteranno le clausole di salvaguardia che porteranno all’aumento delle aliquote Iva (quella al 10 per cento passerà al 13, quella al 22 passerà al 25,5). E’ ciò che prevede il Ddl di Stabilità che, tuttavia, non essendo ancora stato approvato in via definitiva dal Parlamento, resta suscettibile di variazioni.

Come quelle anticipate dal viceministro dell’Economia, Enrico Morando che, intervenendo in commissione Bilancio, a Montecitorio, ha spiegato che, l’incremento si può scongiurare a patto di allestire una spending review che incida sulla spesa improduttiva. L’obiettivo di medio-lungo termine, quindi, secondo Morando, si può centrare, purché l’apparato statale venga responsabilizzato, attraverso un meccanismo che preveda premi e sanzioni in base alla produttività.

Sempre in sede di esame parlamentare, la finanziaria potrebbe essere emendata sui fronti più invisi ai cittadini: la tassazione del Tfr (che se trasferito in busta paga passerà dall’aliquota agevolata a quella ordinaria) e quella sulle rendite da fondi pensioni, la cui aliquota passa dall’11,5 al 20 per cento: a tal proposito, Morando ha spiegato che, da parte del Governo, “c’è ampia disponibilità a valutare le proposte di correttivi, nel contesto del rispetto dei saldi di finanza pubblica”.

Fondi pensione, hanno reso 6 volte il Tfr. E adesso il Fisco raddoppia le pretese

(Autore: Roberto E. Bagnoli – CorrierEconomia)

Da gennaio la liquidazione in azienda ha offerto l’1% contro il 6% delle casse. Così la manovra in cantiere alza la pressione tributaria su tutta la previdenza integrativa. Con la tassazione che sale dall’11,5% al 20% buoni risultati più difficili nel tempo

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La pensione di scorta corre e stacca decisamente il Tfr. Ma le norme previste dal governo con la bozza della legge di Stabilità che prevedono di portare il prelievo annuo sui rendimenti dei fondi pensione dall’11,5 al 20%, varata nei giorni scorsi, rischiano d’indebolire il sistema.

Risultati

Nei primi nove mesi dell’anno si è attestato al 6% il rendimento medio offerto dai fondi pensione negoziali, aziendali o di categoria. I migliori rendimenti sono stati ottenuti dai comparti più aggressivi, tutti in doppia cifra.

Il Tfr (il 6,91% della retribuzione lorda) nello stesso periodo ha reso invece l’1%, al netto dell’aliquota dell’11%: la liquidazione mantenuta in azienda si rivaluta con un tasso dell’1,5%, più il 75% dell’indice del costo della vita. La deflazione che caratterizza il nostro paese ha portato a un risultato cui non si assisteva da molti anni a questa parte: la rivalutazione del Tfr è stata ottenuta solo grazie alla quota fissa (appunto l’1,5%), rapportata ai primi nove mesi dell’anno.

Tra i risultati dei fondi di maggiore dimensione spiccano il 13,2% e il 13,1% ottenuti, rispettivamente, dalla linea azionaria di Fopen (dipendenti del gruppo Enel) e dalla linea bilanciata azionaria di Fonchim (industria chimica).

Un ottimo risultato è stato ottenuto anche dai fondi pensione aperti (promossi da compagnie d’assicurazione, banche, sim e sgr), che nei primi nove mesi del 2014 hanno reso in media il 6,1%. I dati sono ricavati dalla banca dati di Morningstar, che comprende 94 fondi e 448 linee d’investimento, in pratica la quasi totalità del mercato.

Malgrado il ritocco (scattato il 24 giugno scorso) nella tassazione sulle performance, passata dall’11% all’11,5%, la previdenza integrativa conferma insomma il suo andamento positivo. E anche nel medio termine vince alla grande sul Tfr: fra il primo gennaio 2000 e il 30 settembre scorso, tutti i tre fondi chiusi maggiori esistenti all’inizio del periodo considerato hanno battuto nettamente il 47,5% della liquidazione. Il migliore è stato Fondenergia (energia e petrolio) con il 68,1%, seguito da Cometa (industria metalmeccanica e orafa) con il 61,5% e da Fonchim (chimica e farmaceutica) con il 59,5%.

Se i rendimenti ottenuti sono di tutto rispetto, però, la previdenza complementare stenta a decollare, anche a causa della crisi economica. In base ai dati della Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione, guidata da Rino Tarelli), al 30 giugno scorso gli aderenti erano 6,386 milioni (di cui 4,446 milioni dipendenti privati), grosso modo un lavoratore su quattro.

Sorpresa negativa

La bozza della legge di Stabilità prevede, però, due misure che rischiano di compromettere lo sviluppo di un sistema che per milioni di lavoratori sarà sempre più necessario: la prima è la possibilità, anche per gli iscritti ai fondi pensione, di ottenere in busta paga per tre anni l’accantonamento futuro del Tfr, che rappresenta la principale fonte di contribuzione. La seconda è un balzo in avanti (dall’attuale 11,5% al 20%) della tassazione sui rendimenti annuali degli strumenti previdenziali.

«Se saranno confermate, queste due misure rappresenteranno una pesante ipoteca sullo sviluppo del settore — sottolinea Michele Tronconi, presidente di Assofondipensione (l’Associazione dei fondi aziendali e di categoria) —. Negli ultimi anni le casse previdenziali hanno offerto un rendimento medio annuo del 2,8%, decisamente superiore alla rivalutazione del Tfr. E, come si è visto, il risultato positivo si è confermato anche nei primi nove mesi del 2014».

Un brusco stop allo sviluppo della previdenza complementare, inoltre, avrebbe un altro, pesante effetto collaterale. «I rendimenti positivi sono stati ottenuti grazie a scelte gestionali molto prudenziali, che hanno privilegiato soprattutto i titoli di Stato dell’area dell’euro — spiega Tronconi —. Come fondi pensione ci siamo posti il problema di aumentare gli investimenti nell’economia italiana, in particolare nelle piccole e medie imprese; un rallentamento nella crescita dei patrimoni rischia di rallentare questo processo».

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