Danni da spargimento di acqua

L’inquilino del piano di sopra ha danneggiato il tuo appartamento a causa di uno spargimento di acqua?

distacco-acqua-id0

Danni da spargimento di acqua

L’inquilino del piano di sopra ha danneggiato il tuo appartamento a causa di uno spargimento di acqua? La Cassazione, con sentenza 12920/15 del 23.06.2015, ha stabilito che il risarcimento non può limitarsi ad un intervento sulla zona danneggiata, ma riguarda tutte le altre zone che è stato necessario ripristinare per esigenze di uniformità.

Dunque, il proprietario di un immobile che chieda il risarcimento dei danni subiti in conseguenza alle infiltrazioni provenienti dall’appartamento sovrastante ha diritto al rimborso dell’intera somma necessaria per la totale ristrutturazione, quando sono state danneggiate alcune parti dell’immobile che, per esigenza di uniformità, richiedono un intervento ripristinatorio più ampio rispetto ai singoli punti danneggiati.”

La sentenza

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 21 aprile – 23 giugno 2015, n. 12920

Presidente Segreto – Relatore Rubino

I fatti

I coniugi G.S. e B.C. , avvocati, proponevano appello dinanzi alla Corte d’Appello di Catania avverso la sentenza del Tribunale di Catania che li aveva condannati al risarcimento del danno da infiltrazione di acqua provocato all’appartamento sottostante degli attori M.R. e M. nella misura di Euro 1900, 00 circa oltre interessi sulla somma devalutata al 2001 e aveva rigettato là loro domanda riconvenzionale volta al ripristino da parte dei M. di una parete della facciata esterna.

La corte d’appello confermava la sentenza di primo grado, ritenendo che i danni nell’appartamento M. fossero derivanti causalmente dalle perdite idrauliche dall’appartamento dei G. / B. . Quanto alla pretesa eliminazione della parete esterna da parte dei M. , la corte territoriale riteneva trattarsi di creazione di una nuova finestra, legittima a norma dell’art. 1122 c.c..

Propongono ricorso per cassazione G.S. e B.C. , articolato in quattro motivi.

M.R. e M. , regolarmente intimati, non hanno svolto attività difensiva.

Le ragioni della decisione

Con il primo motivo i coniugi G. e B. deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c., 1 comma in relazione all’art. 360, primo comma n. 3 c.p.c., lamentando che i controricorrenti, originari attori, nessuna prova abbiano fornito nel giudizio di merito in ordine alla causa dei danni lamentati ed al nesso di causalità esistente tra i danni e la condotta di essi ricorrenti limitandosi a chiedere una consulenza tecnica d’ufficio che non è un mezzo di prova né può sostituirsi ad essa.

Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa fatti decisivi della controversia in relazione all’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c. nonché la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c..

Lamentano la contraddittorietà e lacunosità della motivazione della sentenza di appello che da un lato ha ritenuto di non discostarsi dagli esiti cui era pervenuto il giudice di primo grado, e dall’altro lo ha fatto recependo e riportando le indicazioni fornite dalla consulenza redatta in appello, discordanti con quelle della consulenza di primo grado, in quanto solo in appello è emerso, come affermato dai coniugi G. e B. fin dall’inizio, che vi fosse una lesione nella colonna portante condominiale e che lo scarico dei G. / B. non era stato sostituito.

I due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi e vanno rigettati. In ordine al primo deve dirsi che, avendo i M. , proprietari dell’appartamento sottostante, denunciato e documentato la presenza di infiltrazioni sul soffitto di alcune stanze del loro appartamento, sottostante a quello degli odierni ricorrenti, addebitandone la responsabilità ai proprietari dell’appartamento di sopra, legittimamente è stata disposta una consulenza tecnica percipiente che analizzasse e quantificasse i danni interni ed individuasse se effettivamente le infiltrazioni provenissero dall’appartamento sovrastante.

I rilievi relativi al vizio di motivazione si riducono in realtà ad una contrapposizione tra la ricostruzione dei fatti cui è pervenuta la corte d’appello e la ricostruzione cui i ricorrenti tendono a pervenire, nel tentativo di indurre questa corte ad una nuova valutazione delle risultanze di fatto, che esula dalla sua competenza.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2055 c.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto larga parte dei danni effettivamente subiti dai M. sarebbero dovuti a responsabilità del condominio, perché provenienti dalla umidità a carico del muro perimetrale. Lamentano che la corte d’appello non abbia tenuto conto di ciò, condannando essi ricorrenti a risarcire ai M. l’intero danno subito pur in mancanza di alcun vincolo di interdipendenza tra la condotta dei ricorrenti e quella del condominio.

La corte d’appello, valorizzando gli approfondimenti fatti in secondo grado dal consulente tecnico delle indagini già eseguite in primo grado, ha accertato che i danni a carico della lavanderia, del bagno e di due pareti del salone dei M. derivano da infiltrazioni provenienti dal sovrastante appartamento dei G. — B. . Ha poi confermato la condanna degli odierni ricorrenti all’integrale risarcimento del danno. Nel far ciò la corte territoriale ha recepito in pieno la quantificazione del danno effettuata in primo grado, ove il Tribunale aveva dettagliatamente chiarito che, per eliminare completamente i danni a carico di alcune pareti del salone era necessario rimuovere tutta la vecchia carta da parati ed applicarne una nuova di qualità similare, nonché ritinteggiare il soffitto (ed aveva anche ridotto in via equitativa l’importo necessario per l’intervento sull’intero salone in considerazione dell’accertata vetustà della carta da parati stessa).

La corte d’appello ha fondato tale soluzione sul principio di solidarietà, affermando la sussistenza dell’unicità del fatto dannoso (infiltrazioni a carico dell’appartamento M. ), salvo il diritto di rivalsa.

La soluzione adottata, che prevede la condanna dei ricorrenti a risarcire l’intero danno patito dai M. , è corretta. Essa va pertanto tenuta ferma, intervenendo però a correggere la motivazione.

Il principio di solidarietà passiva a carico dei danneggianti, ex art. 2055 c.c., si applica infatti quando vi è l’unicità del fatto dannoso, ovvero quando le condotte attive o omissive di più soggetti concorrono, ciascuna con un suo apporto causale, a provocare un unico danno. Più volte questa Corte ha affermato una tale interpretazione del principio di solidarietà passiva, anche all’interno del rapporti condominiali. Vale a tale proposito richiamare il principio di diritto espresso da Cass. n. 6665 del 2009: “Il condominio, sebbene privo di soggettività giuridica, è un autonomo centro di imputatone di interessi che non si identifica con i singoli condomini. Da ciò consegue che in tema di responsabilità extracontrattuale, se il danno subito da un condomino sia causalmente imputabile al concorso del condominio e di un terzo, al condomino che abbia agito chiedendo l’integrale risarcimento dei danni solo nei confronti del terzo, il risarcimento non può essere diminuito in ragione del concorrente apporto casuale colposo imputabile al condominio, applicandosi in tal caso non l’art. 1227, primo comma, cod. civ., ma l’art. 2055, primo comma, cod. civ., che prevede la responsabilità solidale degli autori del danno“.

Nel caso di specie è stato accertato che oltre ai danni recati dalle infiltrazioni provenienti dall’appartamento dei ricorrenti e diffuse in varie stanze dell’appartamento posto al piano di sotto e su diverse pareti del salone, che è l’ambiente più ampio, esiste un’altra macchia di umidità, su una delle pareti del salone, che non proviene dall’appartamento dei ricorrenti (e che non è stato neppure accertato quando si sia verificata né è chiaramente detto da chi sia stata provocata) e la cui esistenza non è, come rilevato dai ricorrenti, legata da alcun nesso di interdipendenza con le infiltrazioni provocate dai ricorrenti.

Quindi, l’obbligazione dei ricorrenti di risarcire l’intero danno subito dai M. non si fonda in questo caso sull’applicazione del principio di solidarietà che non sarebbe in questo caso giustificata, mancando l’unicità del fatto dannoso, ovvero l’interdipendenza tra le concause.

Essa si fonda, piuttosto, sul diritto dei danneggiati ad ottenere il ristoro integrale del danno subito. Poiché il danno consiste in macchie diffuse sulle pareti e sul soffitto di alcuni ambienti, il ristoro integrale, nel caso di specie, deve necessariamente consistere in un intervento ripristinatorio che abbia per oggetto tutte le stanze oggetto di infiltrazioni e per l’intero, non potendo essere idoneo ad eliminare integralmente il danno da infiltrazioni un intervento che non preveda l’integrale rifacimento delle finiture di rivestimento di tutte le pareti e dei soffitti degli ambienti danneggiati, ma tocchi solo alcune delle pareti delle stanze danneggiate.

Soltanto nel caso in cui esistesse una situazione di degrado a carico della parete che non risente delle infiltrazioni provenienti dall’appartamento G. – B. tale da rendere necessario un intervento di ripristino diverso e più oneroso di quello necessario ad eliminare i danni provocati dai G. – B. (es. rifacimento integrale dell’intonaco, consolidamento della parete) – ma tanto non è stato neppure ipotizzato dai ricorrenti – esso non potrebbe essere posto a carico della parte danneggiarne che non vi ha dato causa perché andrebbe al di là del ripristino da essa dovuto.

Può quindi affermarsi che il proprietario di un immobile, il quale domandi il risarcimento dei danni ad esso cagionati in conseguenza delle infiltrazioni provenienti da un appartamento sovrastante, essendo state danneggiate talune parti che, per esigenze di uniformità, richiedano un più esteso intervento ripristinatorio delle condizioni di normale abitabilità del bene rispetto ai singoli punti danneggiati, ha diritto di conseguire il rimborso dell’intera somma occorrente per tale lavoro, trattandosi di esborso necessario per la totale eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli dell’illecito, che non può essere addossato al danneggiato stesso (v. per l’espressione di analogo principio, in relazione a danni provocati da lavori di ristrutturazione a carico di un appartamento sottostante, Cass. n. 259 del 2013).

Infine, con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 1122 c.c. ex art. 360 n. 3 sostenendo che la corte d’appello avrebbe eluso la questione, da loro posta nella domanda riconvenzionale, se l’apertura di un varco privo di infisso – e non di una finestra – nel muro esterno si ponga o meno in contrasto con la funzione di delimitazione che svolgono i muri perimetrali.

Il motivo è inammissibile così come proposto.

Infatti, la corte d’appello, con accertamento in fatto non in questa sede censurato sotto l’unico possibile profilo della adeguatezza della motivazione, ha affermato che i M. hanno aperto si aperto un varco su una parete esterna, ma per collocarvi una finestra quindi non si può ulteriormente discutere in questa sede del fatto che in realtà si trattasse dell’apertura di un varco rimasto aperto.

La diversa censura dei ricorrenti doveva essere veicolata o a norma dell’art. 360 n. 5, quale vizio motivazionale, ovvero, se ne fossero ricorsi gli estremi, a norma dell’art. 395 n. 4 c.p.c..

Il ricorso va complessivamente rigettato.

Nulla sulle spese, in difetto di costituzione degli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Fonte: http://www.laleggepertutti.it/91189_infiltrazioni-in-appartamento-risarcimento-per-la-pittura-di-tutta-la-stanza#sthash.9Xi2WLn6.dpuf

Condominio – danni da spargimento di acqua

Cassazione III civile del 12 dicembre 2012 – 13 febbraio 2013, n. 3553 – sui danni da spargimento in condominio

danno-condominiale

Condominio – danni da spargimento

fonte www.ricercagiuridica.com

(Presidente Uccella – Relatore Cirillo)

Svolgimento del processo

1. S.M., nella qualità di proprietario di un appartamento sito in uno stabile condominiale in Comune di (omissis), citava a giudizio, davanti al Tribunale di Lecce, C.M.R., chiedendo che fosse condannata a risarcirgli i danni cagionati all’appartamento di sua proprietà dalle infiltrazioni di umidità derivanti dal cattivo funzionamento dell’impianto fognante del sovrastante appartamento, di proprietà della convenuta; precisava che tali danni ammontavano a lire 8.098.000.

La convenuta, nel costituirsi in giudizio contestando la pretesa dell’attore, chiedeva di poter chiamare in causa la società Reale mutua assicurazione, per essere da questa garantita in caso di condanna.

Il contraddittorio veniva esteso alla società di assicurazione, all’amministratore del condominio all’epoca dei fatti ed all’amministratore in carica.

Acquisiti documenti e la consulenza svolta in sede di accertamento tecnico preventivo, il Tribunale condannava la compagnia assicuratrice a pagare al M. la somma di Euro 3.736,50, oltre rivalutazione e interessi e con il carico delle spese di lite.

2. Contro la sentenza di primo grado proponevano appello principale la società assicuratrice e appello incidentale il M.

La Corte drappello di Lecce, con sentenza del 7 febbraio 2007, così provvedeva: accoglieva l’appello principale, rigettando la domanda di manleva proposta dalla M.R. contro la Reale mutua assicurazioni; accoglieva l’appello incidentale condizionato proposto dal M. contro la M.R., che condannava a pagare al primo la somma di Euro 3.736,50, oltre interessi e rivalutazione; condannava il M., la M.R. ed il condominio alla restituzione, in favore della società assicuratrice, di quanto dalla stessa versato in esecuzione della sentenza di primo grado; condannava, infine, la M.R. al rimborso delle spese del doppio grado in favore del M., dichiarando le stesse interamente compensate tra le altre parti.

Osservava la Corte territoriale, per quanto ancora rileva in questa sede, che il Tribunale aveva errato nel ritenere che i danni in questione rientrassero nella copertura assicurativa fornita dalla Reale mutua assicurazioni, perché nella specie essi erano estranei alla garanzia, sicché doveva essere chiamata a risponderne la sola M.R.

La polizza stipulata dal condominio, infatti, copriva, oltre ai danni di cui deve rispondere il medesimo, anche la responsabilità di ciascun condomino verso gli altri condomini; ma in questo caso restavano esclusi dalla garanzia i danneggiamenti conseguenti al verificarsi di un sinistro rientrante nei rischi di cui all’art. 7 della polizza; e l’art. 7 prevedeva “i danni diretti e materiali provocati da acqua condotta a seguito di guasto o rottura accidentale degli impianti idrici, igienici o di riscaldamento installati nei fabbricati descritti nel contratto”.

Tale previsione veniva interpretata dalla Corte leccese nel senso che la garanzia poteva ritenersi operante in riferimento ai danni derivanti dalla rottura accidentale della tubazione condominiale, ma non anche per rottura accidentale degli impianti dei singoli condomini. E poiché, nella specie, la relazione tecnica aveva accertato che i danni patiti dal M. erano derivati dalla rottura delle tubazioni di proprietà della M.R., era solo quest’ultima che doveva essere chiamata a risponderne.

La Corte, quindi, poneva l’obbligo risarcitorio a carico della sola M.R.

3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce propone ricorso C.M.R., con atto affidato ad un motivo.

Resiste S.M. con controricorso.

Motivi della decisione

1. Col l’unico motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., sul rilievo che la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere che il fatto dannoso oggetto di causa sia escluso dalla garanzia assicurativa.

Osserva, al riguardo, la M.R. che la lettura del contratto di assicurazione compiuta dalla Corte leccese sarebbe incompleta, essendosi quel giudice limitato a considerare il solo art. 3 delle Condizioni generali di assicurazione. Una lettura globale, invece, avrebbe consentito di verificare, alla luce dell’art. 2, comma 4, del contratto, che la polizza non comprendeva, fra l’altro, i danni derivanti da infiltrazioni, spargimenti e rigurgiti di fogna, a meno che gli stessi non fossero conseguenti a guasti accidentali. Ciò evidenzia il contrasto fra l’interpretazione esclusiva della Corte d’appello e il carattere accidentale del guasto.

2. Il ricorso non è fondato.

La Corte d’appello leccese, con motivazione logica e supportata da puntuale attività di interpretazione delle singole clausole del contratto di assicurazione in questione, è pervenuta alla conclusione che la garanzia ivi prevista non fosse operativa in relazione ai guasti riconducibili ai tratti dell’impianto idrico di proprietà dei singoli condomini.

Si tratta, all’evidenza, di un’interpretazione del tutto ragionevole, oltre che rispondente alle regole generali in tema di funzionamento del condominio. A sostegno di questa ricostruzione – che costituisce attività tipica del giudice di merito, insindacabile in sede di giudizio di legittimità ove correttamente motivata – la Corte territoriale ha provveduto anche a riportare stralci del testo del contratto di assicurazione.

Il ricorso in questione – che si colloca, fra l’altro, nel periodo di vigenza dell’art. 366 bis cod. proc. civ. – oltre ad essere concluso da un quesito di diritto che è ai limiti dell’inammissibilità, in quanto contiene una sollecitazione della Corte a fornire una propria interpretazione del citato contratto, si risolve in un improprio tentativo di ottenere dal giudice di legittimità un nuovo esame del materiale probatorio esistente, pretendendo di fornire una personale e più gradita interpretazione dei contestato contratto.

Si tratta, all’evidenza, di una pretesa che non può trovare sbocco in questa sede.

3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

In ossequio al principio della soccombenza, la ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, come da dispositivo, in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.400, di cui 1.200 per compensi, oltre accessori di legge.

 

WhatsApp Ufficio
Invia con Whatsapp