Incidente stradale: il danno va risarcito integralmente anche se la riparazione è antieconomica

In una recente sentenza il GdP di Vibo Valentia ha sovvertito l’indirizzo acclarato, con sentenze di Cassazione, ed ha stabilito che la riparazione va risarcita integralmente, anche se antieconomica  

Incidente stradale: il danno va risarcito integralmente anche se la riparazione è antieconomica

Il 22 marzo, con sentenza nella causa civile iscritta al n. 1572/16, il Giudice di Pace di Vibo Valentia, dott. Ilario Giuseppe Longo, ha stabilito che:

nella determinazione del danno si deve preferire un criterio soggettivo che tenga conto del rapporto tra il bene medesimo e la sua utilizzazione economica da parte del proprietario (Cass. civ., sez. III, n. 9740/2002)

e per tale motivazione

non si può negare al danneggiato da un sinistro stradale il diritto a riavere il proprio veicolo perfettamente riparato e nuovamente funzionante, quando questo, per la sua particolare funzione e il suo ottimo stato di manutenzione, difficilmente possa essere sostituito da un altro veicolo parimenti usato e reperibile sul mercato.”

Indubbiamente questa sentenza (che trovate allegata) va in senso opposto alla consuetudine ed alle precedenti sentenze della Corte di Cassazione, che tanto hanno fatto discutere in passato i danneggiati , ovvero in caso di riparazione antieconomica il risarcimento non può superare il valore del veicolo nel momento di accadimento.

Come già scritto, il Giudice di Pace ha ritenuto che una riparazione antieconomica non può essere idonea a limitare il risarcimento al di sotto del danno effettivamente subito, rapportandolo al valore di mercato dell’auto: il diritto al risarcimento del danno, infatti, si giustifica per l’infungibilità del bene danneggiato.

Riassumendo “il danneggiato da un sinistro stradale ha diritto a che il suo veicolo torni ad essere “perfettamente riparato e nuovamente funzionante”, ogni qualvolta il mezzo, per la sua particolare funzione e il suo ottimo stato di manutenzione, non può essere sostituito con un altro usato reperibile sul mercato. (fonte StudioCataldi) 

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Responsabilità medica: omicidio colposo per l’infermiere che sbaglia il triage

La Cassazione ha stabilito che è responsabile di omicidio colposo l’infermiere che assegna erroneamente un codice di priorità sbagliato e il paziente muore.

Responsabilità medica: omicidio colposo per l’infermiere che sbaglia il triage

Fonte: (www.StudioCataldi.it) di Lucia Izzo

È responsabile per l’omicidio colposo del paziente giunto al pronto soccorso, con infarto in corso, l’infermiere che ha errato la valutazione assegnandogli un codice verde.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, IV sezione penale, che nella sentenza n. 18100/2017 (che trovate sul sito fonte) si è pronunciata sull’addebito contestato a un infermiere condannato alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

Il caso

All’imputato, nella sua qualità di infermiere responsabile del servizio di triage del Pronto Soccorso, si ascriveva di avere colposamente errato la valutazione nei confronti di un paziente, trascurando le indicazioni contenute nel referto redatto dal personale della ambulanza e le dichiarazioni rese dai familiari circa la morte per infarto del padre del paziente.

Erroneamente, nonostante l’infarto in atto, l’imputato avrebbe attribuito al caso un codice verde in luogo del codice giallo imposto dalla corretta valutazione dei sintomi in sede di triage; il paziente era rimasto quindi per lungo tempo senza adeguata assistenza e solo gli infermieri subentrati nel turno, accertatene le condizioni gravissime, lo avevano ricoverato nel reparto di cardiologia dove era poi deceduto.

Per la Corte di Appello è indubbia la responsabilità dell’infermiere in quanto la sua colpevole sottovalutazione dei sintomi aveva fatto sì che il paziente rimanesse per circa due ore nella struttura senza ricevere alcun tipo di cura.

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Colpo di frusta accertamento possibile senza radiografie

Il colpo di frusta è risarcibile anche senza diagnosi strumentale. Così si ha stabilito la Cassazione con pronuncia numero 18773/2016

rc medica

Colpo di frusta accertamento possibile senza radiografie

La Corte di Cassazione scrive un nuovo capitolo sul “risarcimento” delle microlesioni (ad esempio il cosiddetto colpo di frusta) stabilendo che “non sempre la diagnosi strumentale è necessaria”.

Il medico legale, in sede di accertamento, può stabilire di quali strumenti ha bisogno per valutare un danno ed utilizzare quindi, anche metodologie diverse dalle radiografie.

I giudici, più precisamente, hanno affermato che l’articolo 32, comma 3-ter e 3-quater, del decreto legge n. 1/2012, va letto “in correlazione alla necessità (da sempre viva in siffatto specifico ambito risarcitorio), predicata dagli artt. 138 e 139 cod. ass. (che, a tal riguardo, hanno recepito quanto già presente nel “diritto vivente”), che il danno biologico sia “suscettibile di accertamento medico-legale”, esplicando entrambe le norme (senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti ad una “obiettività” dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti)”.

Per dovere di cronaca segnaliamo un’opinione “discordante”: Sul colpo di frusta nessuna «revisione»

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 13 giugno – 26 settembre 2016, n. 18773

Presidente Chiarini – Relatore Vincenti Ritenuto in fatto

1. – B.F. convenne in giudizio, dinanzi al Giudice di pace di Napoli, C.C. e la Milano Assicurazioni S.p.A. per sentirle condannare al risarcimento dei danni arrecati alla propria autovettura, nonché per le lesioni patite a seguito del sinistro stradale occorso in data (omissis) , da ascrivere a responsabilità del conducente dell’autovettura di proprietà della C. , assicurata presso la compagnia convenuta. Con sentenza del giugno 2009, l’adito Giudice di pace, nella contumacia dei convenuti, dichiarava inammissibile la domanda attorea di risarcimento dei danni arrecati all’autovettura, stante la carenza di legittimazione processuale attiva dell’attrice, e rigettava nel merito la pretesa di ristoro dei pregiudizi derivanti dalle lesioni personali patite a seguito dell’incidente, difettando una “dimostrazione convincente dei suoi elementi giustificativi“.

2. – Avverso tale decisione proponeva impugnazione B.F. , che il Tribunale di Napoli, con sentenza resa pubblica il 12 dicembre 2012, accoglieva parzialmente e, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava l’esclusiva responsabilità ex art. 2054, comma 3, cod. civ. di C.A. per la verificazione dell’incidente e condannava la Milano Assicurazioni S.p.A. al pagamento, in favore dell’attrice, della somma risarcitoria di Euro 505,61, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, nonché, in solido con la C. , al pagamento dei due terzi delle spese processuali del doppio grado di giudizio, che liquidava in complessivi Euro 1.074,00, di cui Euro 154,00 per esborsi ed Euro 920,00 per compensi, oltre accessori di legge; rigettava nel resto l’impugnazione.

2.1. – Per quanto ancora interessa in questa sede, il giudice d’appello – accertata la responsabilità per il sinistro de quo – in punto di liquidazione dei danni, riteneva dovuto il risarcimento volto a “remunerare gli interventi di riparazione del veicolo” di proprietà dell’attrice, da quantificarsi in Euro 505,61, oltre rivalutazione monetaria secondo indici Istat ed interessi legali, mentre escludeva il risarcimento per il c.d. “danno da fermo tecnico del veicolo incidentato”. A tal riguardo, il Tribunale sosteneva che, non essendo in re ipsa, detto danno non poteva essere liquidato in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., non avendo l’istante “neppure dedotto le circostanze rivelatrici della verificazione nella propria sfera giuridica di un danno materiale emergente ulteriore rispetto a quello normalmente discendente dalla necessità di disporre le opere, d’altronde di attuazione piuttosto rapida (nella specie, 4 giornate lavorative), di riparazione della vettura, di cui non è stata prospettata neppure la sostituzione provvisoria”.

2.2. – Il giudice di secondo grado confermava, poi, seppur con diversa motivazione, il capo della decisione impugnata con cui era stata respinta la domanda di risarcimento dei danni alla persona patiti dall’attrice, in quanto, stante l’applicabilità al giudizio de quo della norma dettata dall’art. 32, comma 3-quater, del d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, le “affezioni asintomatiche di modesta intensità non suscettibili di apprezzamento obiettivo clinico… riscontrate all’infortunata” non erano state dimostrate “con le rigorose modalità prescritte ex lege”.

2.3. – Infine, il giudice del gravame, in virtù del parziale accoglimento dell’appello, compensava ex art. 92, comma secondo, cod. proc. civ., le spese del doppio grado di giudizio nella misura di un terzo e poneva la restante quota a carico dei convenuti in solido tra loro, che liquidava d’ufficio secondo i parametri indicati dal d.m. n. 140 del 2012 e, dunque, senza prendere in considerazione le note specifiche di cui all’art. 75 disp. att. cod. proc. civ. depositate dal difensore dell’attrice.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre B.F. , affidando le sorti dell’impugnazione a tre motivi. Non hanno svolto attività difensiva in questa sede le intimate C.A. e la Milano Assicurazioni S.p.A..

Considerato in diritto

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., violazione degli artt. 2554, 2043, 2056, 2059, 1226 cod. civ., 185 cod. pen., 32 della legge n. 27 del 2012 (rectius: del d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazione, dalla legge n. 27 del 2012) e art. 139 cod. ass.. Il giudice di secondo grado, sulla base del presupposto che le lesioni personali patite da essa B. nel sinistro per cui è causa non erano state accertate visivamente o strumentalmente ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 1 del 2012, modificativo dell’art. 139 del d.lgs. n. 209 del 2005, avrebbe erroneamente respinto la relativa domanda risarcitoria, atteso che le diposizioni dettate dalla citata normativa in materia di riscontro medico-legale delle lesioni di lieve entità non possono trovare applicazione con riferimento a quei giudizi, come il presente, che erano già in corso alla data della loro entrata in vigore. In ogni caso, le lesioni contusive “alla spalla sinistra, allo emotorace sinistro ed alla cervicale” patite da essa attrice erano state accertate “visivamente come ritiene la legge” dal “sanitario di guardia al Pronto Soccorso” e ciò diversamente dalla “sospetta lesione ossea”, non accertata strumentalmente, ma neppure oggetto di richiesta risarcitoria, limitata al danno biologico temporaneo e non già permanente. Unitamente al danno biologico temporaneo il giudice di appello avrebbe dovuto liquidare anche il danno morale.

1.1. – Il motivo è fondato per quanto di ragione.

1.1.1. – Esso è privo di consistenza in riferimento alla postulata inapplicabilità nella presente controversia (decisa in grado appello con sentenza pubblicata il 12 dicembre 2012) della disposizione di cui art. 32, comma 3-quater, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, la quale stabilisce: “Il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”. Come precisato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014, la citata norma, avente ad oggetto le modalità di riscontro medico-legale delle lesioni di lieve entità a seguito di sinistro derivante dalla circolazione stradale, unitamente a quella del precedente comma 3-ter (modificativa del predetto art. 139 cod. ass.) concernente il danno biologico permanente (e il cui risarcimento non potrà aver luogo ove le lesioni di lieve entità “non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo”), “in quanto non attinenti alla consistenza del diritto, bensì solo al momento successivo del suo accertamento in concreto, si applicano… ai giudizi in corso (ancorché relativi a sinistri verificatisi in data anteriore alla loro entrata in vigore)” (così l’anzidetta sent. n. 235 del 2014). Trattasi, infatti, di norme (la prima, come detto, riguardante il danno biologico permanente, la seconda quello temporaneo) volte a stabilire l’esistenza e, eventualmente, la consistenza del danno alla persona e, dunque, ad esse è tenuto il giudice nel momento stesso in cui decide sul punto.

1.1.2. – Sono invece fondate le doglianze che impugnano la ratio decidendi della sentenza di appello là dove questa ha escluso che la B. abbia fornito la prova, secondo le “rigorose modalità prescritte ex lege”, delle lesioni lievi, di carattere non permanente, subite, in quanto ritenute “non suscettibili di apprezzamento obiettivo clinico”. Invero, il citato comma 3-quater dell’art. 32, così come il precedente comma 3-ter, sono da leggere in correlazione alla necessità (da sempre viva in siffatto specifico ambito risarcitorio), predicata dagli artt. 138 e 139 cod. ass. (che, a tal riguardo, hanno recepito quanto già presente nel “diritto vivente”), che il danno biologico sia “suscettibile di accertamento medico-legale”, esplicando entrambe le norme (senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti ad una “obiettività” dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti). Sicché, appare evidente l’errore in diritto (sub specie di vizio di sussunzione) commesso dal giudice di appello, il quale – pur dichiaratamente discostandosi dalla motivazione del primo giudice, che aveva ritenuto inattendibile il referto ospedaliero (e, dunque, prescindendo da tale valutazione) – ha escluso la risarcibilità del danno biologico temporaneo (quale unica pretesa azionata dall’attrice) in favore della stessa B. nonostante che detto referto medico avesse diagnosticato “contusioni alla spalla, al torace e alla regione cervicale guaribili in 7 giorni”, le quali lesioni, dunque, non potevano essere ritenute, di per sé, “affezioni asintomatiche di modesta intensità non suscettibili di apprezzamento obiettivo clinico” alla stregua dell’art. 32, comma 3-quater, del d.l. n. 1 del 2012.

2. – Con il secondo mezzo è denunciata violazione degli artt. 2043, 2054, 2056, 1223 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.. Il giudice d’appello avrebbe erroneamente negato il risarcimento del danno da “fermo tecnico” del veicolo incidentato in considerazione del fatto che l’istante non aveva provato di aver subito un danno materiale emergente (per spese di gestione del veicolo incidentato) ulteriore rispetto a quello derivante dall’inutilizzabilità dell’autovettura durante il periodo necessario alla sua riparazione, nonostante la prevalente giurisprudenza di legittimità ritenga che tale voce di danno in parola sia in re ipsa.

2.1. – Il motivo è infondato. Il Collegio intende aderire e dare continuità al più recente orientamento, in via di consolidamento, secondo cui il danno da “fermo tecnico” del veicolo incidentato non è risarcibile in via equitativa – cui è possibile ricorrere solo ove sia certa l’esistenza dell’an – ove la parte non abbia provato di aver sostenuto di oneri e spese per procurarsi un veicolo sostitutivo, né abbia fornito elementi (quali i costi assicurativi o la tassa di circolazione, sempre che la durata della riparazione non sia stata particolarmente breve, tale da rendere irrilevante l’entità di detti costi) idonei a determinare la misura del pregiudizio subito (tra le altre, Cass., 19 aprile 2013, n. 9626; Cass., 17 luglio 2015, n. 15089; Cass., 14 ottobre 2015, n. 20620). Si tratta, infatti, di indirizzo consentaneo al principio per cui anche il danno da “fermo tecnico” non può considerarsi in re ipsa (come invece opinato dalla ricorrente), quale conseguenza automatica del sinistro e della indisponibilità del veicolo, ma deve, invece, essere allegato e dimostrato in ragione della effettiva perdita patita dal danneggiato, in consonanza con la norma di cui all’art. 1223 cod. civ. (richiamata dall’art. 2056 cod. civ.). Sicché, è corretta la decisione del giudice di appello che ha escluso la risarcibilità di detto danno in ragione della rilevata rapida attuazione delle opere di riparazione del veicolo (4 giorni), senza che l’attrice avesse neppure allegato (prima ancora che dimostrato) di aver subito “un danno materiale emergente ulteriore a quello normalmente discendente dal bisogno di disporre le opere” anzidette.

3. – Con il terzo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e della tariffa professionale del 2 giugno 2004. Il giudice del gravame, senza tener conto delle specifiche note spese, di primo e di secondo grado, elaborate dal difensore dell’attrice ai sensi del d.m. n. 127 del 2004, avrebbe erroneamente liquidato d’ufficio le spese del doppio grado di giudizio secondo i parametri indicati dal d.m. n. 140 del 2012, nonostante l’attività professionale del detto procuratore si fosse esaurita ben prima dell’entrata in vigore della legge recante le nuove tariffe professionali.

3.1. L’esame della censura è assorbito dall’accoglimento, per quanto di ragione, del primo motivo di ricorso, concernente l’an debeatur sul diritto al risarcimento per il danno biologico temporaneo, dovendo il giudice del gravame, a seguito della cassazione della sentenza impugnata, nuovamente provvedere alla liquidazione delle spese processuali.

4. – Va, dunque, rigettato il secondo motivo di ricorso, accolto il primo per quanto di ragione e dichiarato assorbito il terzo motivo. La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, che dovrà delibare nuovamente la domanda risarcitoria della B. in riferimento al danno biologico temporaneo, tenuto conto dei principi giuridici di cui al p. 1.1.2. che precede. Il giudice del rinvio dovrà provvedere, altresì, alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il secondo motivo di ricorso, accoglie il primo motivo nei termini di cui in motivazione e dichiara assorbito il terzo motivo dello stesso ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

fonte www.studiocataldi.it

Cassazione Alcoltest chi ha preso farmaci è sanzionabile

L’assunzione di un farmaco non giustifica il conducente che risulti positivo all’ alcoltest perché non sono rilevanti i motivi per cui i valori siano sballati.

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Cassazione Alcoltest : chi ha preso farmaci è sanzionabile

Avv. Aldo Maturo – Per la Cassazione l’esito positivo dell’esame dell’alcoltest costituisce prova dello stato di ebbrezza.

E’ compito dell’automobilista dimostrare che l’accertamento non è veritiero per cause attribuibili alla strumentazione utilizzata dalle forze dell’ordine o per vizi nella modalità di effettuazione dell’esame.

Che a giustificazione dei valori superiori alla norma egli abbia poi esibito un certificato medico da cui si rilevi la possibile interazione di alcuni farmaci sui risultati degli esami all’alcoltest è circostanza priva di valore, se non accompagnata da riscontri probatori. I fatti esaminati dalla sentenza della Cassazione (cfr. n. 36887 14 luglio IV sez. pen.)  Leggi tutto su studiocataldi.it

Fonte: Alcoltest: non si salva dalla condanna chi ha preso farmaci che influiscono sull’esito. www.studiocataldi.it

 

Un evento atmosferico non esclude la responsabilità del custode

Il tribunale di Ascoli ha condannato al risarcimento il Comune, in quanto custode, ritenendo che il vento non escluda la responsabilità.

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Un evento atmosferico non esclude la responsabilità del custode

Il codice civile, con l’articolo 2051, stabilisce che “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

Due annotazioni importanti: innanzitutto questo articolo rientra nella fattispecie della cosiddetta “responsabilità oggettiva”, in cui è previsto l’inversione dell’onere della prova, che va a carico di chi a procurato il danno. Secondo il presunto responsabile per l’esimenti deve provare il caso fortuito, ovvero che avrebbe messo in atto tutte le necessarie azioni perché il danno non potesse accadere.

Cosa si intende allora per caso fortuito rilevante e idoneo ad escludere la responsabilità?

Basta fare una ricerca sulle sentenze relative a questo articolo del codice per rendersi conto che non c’è una risposta univoca e precisa, ma che, di volta in volta, si è cercato di adattare allo specifico caso ed alle circostaze.

Interessante quanto deciso dal Tribunale di Ascoli con sentenza 175/2016.

In sintesi, il giudice ha chiarito che: “il vento non può ritenersi idoneo a rappresentare un’ipotesi di caso fortuito idoneo ad interrompere il nesso di causalità. Tale evento atmosferico, pur se forte, quando non è di intensità eccezionale non presenta infatti un elevato grado di improbabilità, accidentalità o anormalità e, di conseguenza, non può essere considerato un fatto imprevedibile.”

Il caso

La vettura di un automobilista veniva danneggiata dal ramo di un albero, caduto a causa del vento.

In primo grado il giudice di pace aveva rigettato le pretese del danneggiato, avanzate nei confronti del Comune quale ente custode della strada, ritenendo sussistente nel caso di specie il caso fortuito, costituito dal forte vento presente il giorno dell’incidente.

Secondo il Tribunale tale conclusione non può essere condivisa:

oltre all’inidoneità del vento a interrompere il nesso causale tra la cosa oggetto di custodia e il danno, per i motivi visti sopra, nella fattispecie concreta la responsabilità del Comune convenuto era posta fuori di ogni dubbio anche da un’altra circostanza rilevante. Il vento verificatosi il giorno dell’incidente, infatti, era stato previsto dagli esperti già due giorni prima ed era stato comunicato al predetto ente con avvertenza di adottare tutte le misure cautelative necessarie.

Ma gli aspetti di rilievo della sentenza in commento non si arrestano qui. Essa, infatti, si è soffermata su un’altra interessante tematica: quella della legittimazione passiva del convenuto.

Il Comune infatti, nel tentare di sollevarsi da ogni responsabilità, aveva affermato in giudizio (peraltro senza fornire adeguata prova) che la manutenzione del verde cittadino era affidata a una società terza. A tal proposito, però, il Tribunale ha chiarito che tale circostanza non è di per sé idonea ad escludere la responsabilità ex art. 2051 c.c.: a tal fine, infatti, il Comune avrebbe comunque dovuto chiamare in garanzia la suddetta società per essere manlevato dall’obbligo risarcitorio (anche solo parzialmente), previa dimostrazione dell’inadempimento contrattuale. (fonte studiocataldi.it)

Conclusione

Il Comune è obbligato a risarcire il danno.

Auto storiche, per la Corte Costituzionale pagano il bollo

Auto Storiche: la Corte Costituzionale mette un freno alle agevolazioni attuate dalle singole regioni

AUTO STORICHE

Auto storiche, per la Corte Costituzionale pagano il bollo

A riportare la notizia della stretta sulle auto storiche è il sito studiocataldi.it, che pubblica anche la sentenza ( 199/2016 ) della Corte Costituzionale.

di Marina Crisafi – Le auto storiche, con età compresa tra i 20 e i 29 anni, devono pagare il bollo. Lo ha sancito la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 199/2016 depositata ieri (qui sotto allegata), dichiarando illegittime le norme previste dalla regioni Umbria e Basilicata in quanto lesive della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tributi erariali.

Sul bollo auto, la legge n. 190/2014 ha infatti eliminato ogni esenzione per i veicoli e motoveicoli di interesse storico o collezionistico immatricolati da meno di 30 (e da almeno 20), lasciando il beneficio soltanto per gli esemplari ultratrentennali.

Le scappatoie fiscali, previste rispettivamente dalle leggi regionali n. 8/2015 e n. 14/2015 dei due enti, che avevano mantenuto tale regime di favore (sostituendo il bollo auto con una tassa di circolazione forfettaria ed eliminando sanzioni e interessi per i morosi), per la Consulta, sono dunque in contrasto con gli artt. 117 e 119 della Costituzione, che dettano i principi di potestà legislativa e autonomia finanziaria degli enti locali.

Fonte: www.StudioCataldi.it

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RC medica il mancato consenso costituisce un danno autonomo

RC medica: il danno per il mancato consenso informato va risarcito anche se l’intervento è riuscito. La violazione dell’obbligo informativo rappresenta un danno autonomo da quello della lesione alla salute. Fonte: studiocataldi.it

giudice

RC medica il mancato consenso costituisce un danno autonomo

di Marina Crisafi – Se manca il consenso informato, il paziente va risarcito a prescindere dal fatto che l’intervento sia riuscito. La violazione dell’obbligo informativo, infatti, costituisce un danno autonomo da risarcire anche se non vi è stato un danno alla salute, in quanto ad essere leso è il diritto all’autodeterminazione del malato.

Lo ha stabilito la terza sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 10414/2016 (pubblicata il 20 maggio scorso e qui sotto allegata), accogliendo il ricorso di una paziente che chiedeva la condanna del medico e della struttura sanitaria al risarcimento del danno per l’inadempimento degli obblighi informativi.

leggi tutto: fonte Responsabilità medica: il danno per il mancato consenso informato va risarcito anche se l’intervento è riuscito (www.StudioCataldi.it)

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Pedone: ha sempre la precedenza

L’utilizzo di un veicolo, richiede sempre la dovuta cautela nei confronti dei pedone, anche se “fuori” dalle strisce.

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Pedone: ha sempre la precedenza

L’utilizzo di un mezzo a motore o anche una bicicletta, richiede sempre di prestare la dovuta cautela nei confronti del pedone, senza limitarsi al pensiero che devono per forza attraversare sulle strisce

Il principio è stato confermato dalla Corte di Cassazione in una sentenza di giugno, la numero 26111/2016.

La citata sentenza conferma la condanna per omicidio colposo in capo a un automobilista che aveva investito un’anziana signora, anche se era fuori dalle strisce pedonali, causandone la morte.

A nulla è valsa la difesa del conducente che portava quale esimenti il fatto che qualche metro più avanti ci fossero delle strisce pedonali: la adeguata attenzione è inderogabile.

Oltre a questo la Corte ha considerato che nel luogo in cui si era verificato l’incidente la visibilità era buona e sufficiente a permettere ad un attento e prudente automobilista di evitare l’investimento della donna con tempestività, nonostante l’età avanzata di questa e il passo lento, e nonostante essa si accingesse ad attraversare la strada fuori dagli spazi segnalati.

Per i giudici è il conducente di un veicolo obbligato ad osservare la massima prudenza e procedere a velocità moderata quando si trova in prossimità degli attraversamenti pedonali, permettendo così al pedone di esercitare il diritto di precedenza che gli spetta comunque sia se attraversa sulle strisce sia se attraversa nelle loro vicinanze.

La Cassazione ha ricordato che, in ogni caso, il diritto di precedenza va subordinato al principio del neminem laedere, principio del non offendere nessuno, anche quando il pedone attraversa fuori dalle apposite strisce, con la conseguenza che gli automobilisti sono sempre tenuti a rallentare e, se necessario, a fermare la marcia se ciò è dovroso per evitare incidenti anche connessi alla mancata cessione della precedenza a loro favore. In caso contrario la responsabilità per l’evento colposo che sia eventualmente derivato è comunque attribuibile ad essi, anche se al comportamento tenuto dal pedone può essere attribuita efficienza causale concorsuale, vale a dire il contributo del pedone nel suo investimento.

fonte: http://www.studiocataldi.it/

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Nubifragio provoca allagamento – sentenza di Cassazione

A causa di un forte nubifragio un esercizio commerciale viene allagato. L’assicuratore rifiuta il pagamento dei danni nonostante siano assicurati gli eventi atmosferici. Corte di Cassazione, Sezione 3 civile – Sentenza 10 maggio 2016, n. 9383.

nubifragio alla negozio
Nubifragio provoca allagamento – sentenza della Cassazione

Il fatto:

Il titolare di un esercizio commerciale, a causa di un forte nubifragio, subisce dei danni da allagamento e richiede alla società assicuratrice il risarcimento.

La compagnia di assicurazioni respinge il sinistro perché: è vero che la polizza prevede la garanzia “eventi atmosferici“, ma tra le esclusioni è indicato che non sono risarciti i danni provocati “dalla formazione di ruscelli o accumulo esterno di acqua”, sebbene verificatisi in conseguenza di eventi atmosferici garantiti dalla polizza stessa (uragano, bufera, tempesta, vento, tromba d’aria, grandine)”, escludendo così le conseguenze del nubifragio.

Il Tribunale ordinario e la Corte d’Appello confermano l’indirizzo della società assicuratrice.

La Cassazione:

La Corte di Cassazione, andando più in profondità alla questione e osserva che “…la tecnica con la quale è formulato l’articolo 10 non è un modello di chiarezza …” e giunge alla seguente interpretazione:
“In altri termini, l’interpretazione data dalla Corte d’appello viola i fondamentali criteri della logica; non è ragionevole, infatti, ritenere che una polizza assicuri contro i danni determinati da eventi atmosferici, fra i quali rientra anche la pioggia, e neghi nel contempo la copertura assicurativa se la stessa pioggia abbia determinato un allagamento conseguente alla formazione di un ruscello. Spingendo l’interpretazione data dal giudice di merito alle estreme conseguenze, si dovrebbe dire che il danno determinato dal nubifragio è risarcito se la pioggia danneggia dall’alto e non se danneggia dal basso (com’è pacificamente avvenuto nella specie), il che non è ragionevolmente sostenibile.”

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Sentenza 3811 2016 il ristoratore ha l’obbligo risarcire il cliente per i danni all’auto

La sentenza 3811 2016 chiarisce quali elementi fanno supporre che il parcheggio è custodito – di Lucia Izzo Fonte: Sudiocataldi.it

responsabilità dell'albergatore
Sentenza 3811 2016 quando il ristoratore ha l’obbligo risarcire il cliente per i danni all’auto

E’ responsabile il gestore dell’albergo o del ristorante per i danni subiti dall’automobile lasciata nel parcheggio del locale se la conformazione del luogo, con apposite ricezioni oppure con la presenza di personale di controllo, lasci supporre per facta concludentia l’esistenza di un contratto di parcheggio con responsabilità di deposito.

Lo ha stabilito il Tribunale di Roma, undicesima sezione civile, nella sentenza 3811 2016 dell’11 febbraio.
L’attore, fotografo professionista, cita in giudizio la società che gestisce una struttura per convegni e ricevimenti poiché, dovendo realizzare un servizio fotografico in occasione di un banchetto nuziale, aveva parcheggiato la propria autovettura nell’area di parcheggio all’interno della recinzione della villa; in questa occasione, ignoti sfondavano il lunotto posteriore della sua auto sottraendo una valigetta contenente varie attrezzature fotografiche e il filmato delle nozze da lui realizzato in precedenza, causando un danno stimato complessivamente in diecimila euro.

La convenuta società evoca a sua difesa l’art. 1785 quiquies c.c. il quale escluderebbe qualsiasi responsabilità di albergatori e ristoratori in caso di furto di autovetture: essendo i gestori di locali assimilabili agli alberghi e ai ristorante, nessuna responsabilità sarebbe potuto esserle ascritta in quanto gestore di una struttura di convegni e ristorazione, posto che la norma summenzionata esclude l’applicabilità di detta normativa ai veicoli e alle cose lasciate al loro interno a meno che non sussista un distinto apposito contratto di parcheggio.

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Il testo della sentenza 3811-2016 Tribuinale di Roma

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