Il datore di lavoro che consente ad un estraneo l’accesso ad un luogo vietato ai non addetti ed omette di sorvegliare è responsabile.
Responsabilità del datore di lavoro per estranei in azienda
Per un incidente accaduto non ad un lavoratore ma ad una persona estranea ad una azienda che all’interno di un deposito della stessa di materiali per l’edilizia è deceduta nell’atto di sfilare dei tondini di ferro dalla balla nella quale erano inseriti venendo investito mortalmente da essa, il Tribunale ha individuata la responsabilità del titolare dell’azienda proprietaria del deposito con una decisione la quale è stata poi ribaltata dalla Corte di Appello che ha addebitato invece l’accaduto al comportamento imprudente dell’infortunato.
La Corte di Cassazione, alla quale è stata fatto ricorso non si è trovato d’accordo con le decisioni della Corte territoriale annullando la sua sentenza e rinviando gli atti ad essa per un nuovo esame in diversa composizione, in quanto la Corte d’Appello si è limitata ad esaminare esclusivamente la condotta imprudente dell’infortunato e non ha esaminato invece la condotta del titolare dell’azienda che ha consentito l’accesso ad un luogo che doveva essere vietato ai non addetti ai lavori e quindi di prelevare i tondini posti nella balla ed ha omesso infine di sorvegliarlo, allontanandosi dal luogo dove quest’ultima era collocata.
In Italia si spera troppo nello stato assistenziale, e pochissimo sulle polizze assicurative che potrebbero risultare fondamentali in caso di perdita della capacità lavorativa.
rischio perdita della capacità lavorativa
In Italia il 25% delle persone a rischio perdita della capacità lavorativa
Da una ricerca europea di una compagnia assicurativa europea, risulta che sia parcepita come molto remota la possibilità di perdere la capacità di lavorare: solo il 10% degli intervistati si sente “insicuro”, mentre le statistiche dimostrano che una persona su quattro è a rischio.
Il futuro dei lavoratori europei sarà in discesa. Dopo dieci anni di crisi, recessione, inflazione e deflazione, in gran parte dell’Occidente, e con gli Stati in ritirata sui conti pubblici e l’assistenza, la consapevolezza di questo scenario è piuttosto diffusa… ma sono pochi quelli che si muovono per arginare il “divario pensionistico“… Un distacco che renderà impossibile a milioni di cittadini italiani ed europei, di mantenere l’attuale tenore di vita da pensionati. C’è però una possibilità ancor più drammatica, vale a dire perdere la capacità di lavorare, per infortuni o per invalidità, come ha dichiarato Kristof Terryn, ad del ramo vita di Zurich Insurance -. In “assicuratese”, noi assicuratori lo definiamo “divario della tutela del reddito”.
La compagnia svizzera ha condotto un’indagine a campione su 6mila persone, di età tra 18 e 70 anni, che vivono in Germania, Irlanda, Svizzera, Italia, Spagna, Regno Unito, e ha scoperto che solo il 10% degli intervistati teme di non essere più in grado di lavorare durante la vita attiva… Tuttavia, i dati statistici illustrano che fino al 25% della forza lavoro potrebbe perdere la capacità lavorativa.
“In qualità di consulenti ed intermediari, noi della Cutillogroup ci sentiamo responsabili e possiamo giocare un ruolo importante nel contribuire e attenuare i rischi correlati al divario della tutela del reddito. Importante è sensibilizzare le persone che per noi rappresenta una “missione”, affinchè prendano provvedimenti volti a tutelare se stessi e i loro cari “.
Italia in fondo alla lista
Finanziariamente ed economicamente parlando, l’Italia, purtroppo, è tra i Paesi più scoperti in caso di tutela dagli infortuni e le invalidità (incidenti, disturbi scheletrici e reumatici in primis). Mediamente, infatti, i 6mila intervistati dichiarano di detenere risparmi, investimenti e polizze assicurative e pensionistiche per vivere per 4/6 anni, in caso di ritiro forzato dal lavoro. Ma in Italia gli anni di copertura sono solo 3/4, un dato che allinea – con la Spagna, che sta ultima a 3,3. La Germania primeggia, con 6/8 anni di “autonomia” dal lavoro dei suoi intervistati, ed è seguita a poca distanza dalla Svizzera (6,4).
Gli obblighi di vigilanza e controllo gravanti sul datore di lavoro non vengono meno con la nomina del Responsabile del servizio di prevenzione protezione (Rspp), il quale ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nella individuazione dei fattori di rischio. A tale conclusione giunge la Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, con la sentenza 46820/14 depositata ieri.
Il ricorso alla Corte è stato proposto dal responsabile di una società operante nel settore dell’edilizia condannato in primo e secondo grado a seguito di una infortunio grave subito da un lavoratore operante su una scala a mano, cadendo da una altezza di oltre due metri. La difesa dell’imputato si fondava su varie circostanze non valutate nei gradi di merito e cioè: l’incerta ricostruzione dell’evento; la circostanza che l’infortunato seppure assunto il giorno precedente a quello dell’evento era un operaio specializzato dal 1980, con oltre 30 anni di carriera, per cui non necessitava di alcuna informazione e formazione; era stato nominato un geometra quale addetto al Servizio di prevenzione e protezione (Spp). In ogni caso, essendo la società un’azienda di grandi dimensioni sarebbe stato onere del giudice verificare che nell’organigramma non vi fosse un delegato di fatto, non potendo la responsabilità dell’evento gravare certamente sull’amministratore delegato.
Dello stesso avviso non è stata invece la Corte di cassazione, la quale ha stabilito che la condotta incauta del lavoratore infortunato non può assurgere da sola a causa sopravvenuta sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area del rischio proprio della lavorazione svolta. Il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore presenti carattere di eccezionalità, abnormità, esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute.
Né l’evento può essere imputato ad una minima colpa dell’infortunato, il che avrebbe richiesto che questi conoscesse perfettamente i rischi del lavoro a cui era occupato e il corretto utilizzo dei mezzi fornitigli.
Nel caso in esame, però, il responsabile della società è stato incolpato anche per il deficit informativo e formativo a favore dell’infortunato, violando così gli articoli 21 e 22 del Dlgs 626/94 (ora 36 e 37 del Dlgs 81/08 – Testo Unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro), tenendo conto che la formazione adeguata deve essere fornita al lavoratore in occasione dell’assunzione con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni. Nel caso specifico, l’adempimento formativo è risultato necessario e non superfluo, tenuto conto che l’utilizzo della scala doveva essere effettuato in un contesto di cantiere pericoloso a causa di un terreno di appoggio sconnesso e scivoloso.
In merito alla delega che sarebbe stata conferita ad un geometra, nessun documento è risultato agli atti processuali, né peraltro, la nomina di quest’ultimo quale addetto al Spp è stata ritenuta circostanza esimente dalla responsabilità, atteso che tale carica attribuisce un mero ruolo di consulenza ai fini della individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti, il che lascia intatti gli obblighi del datore di lavoro riguardanti il controllo e la vigilanza sulla corretta osservanza delle misure di sicurezza predisposte. Del resto, richiamandosi a precedenti giurisprudenziali, la Corte non manca di sottolineare che pur in presenza di una delega, a carico del datore di lavoro permane sempre l’obbligo di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega stessa.