Quando il cane fa pipì sul muro

Cassazione: se il cane imbratta il muro di proprietà privata il padrone rischia una condanna penale

Fonte: Cassazione: se Fido imbratta il muro di proprietà privata il padrone rischia una condanna penale
Stefano Savoldelli del Foro di Bergamo
(www.StudioCataldi.it)

cane educato

Quando il cane fa pipì sul muro

Nel suggestivo centro storico di una città italiana, nel novembre di alcuni anni fa, un uomo passeggia tranquillo con il suo cane quando, arrivati alle soglie di un palazzo storico, il cane si mette ad urinare tanto che il padrone provvederà subito a sciacquare la pipì del cane…

Una cosa naturalissima, certo, ma non del tutto gradita dal proprietario dell’edificio che decide di denunciare il fatto e di chiedere la condanna del proprietario del cane ex art. 639, 2° comma, del codice penale (deturpamento ed imbrattamento di cose altrui).

A quei fatti segue un procedimento nel quale il padrone dell’animale viene condannato in primo grado ed assolto in appello.

Si giunge, poi, in Cassazione.

I fatti sono pacifici: è vero che il cane ha orinato sul muro dell’edifico, ma è anche vero che il padrone ha poi utilizzato una bottiglietta d’acqua per pulire la superficie del palazzo.

Nel merito, la Cassazione evidenzia l’esistenza di una strenua contrapposizione tra la legittima tutela dei beni di proprietà e la posizione di chi conduce animali da compagnia sulla pubblica via: situazioni, sottolinea la Corte, inserite in una complesso quadro formato da elementi quali la convivenza, il rispetto civile, la tolleranza ed, ahinoi, il malcostume (che in questo caso non sussiste)

In sentenza, la Corte afferma che l’imbrattamento si è certamente verificato, non potendosi considerare esimenti (esimenti soggettive, che giustificano il compimento del fatto senza autorizzarlo. Si tratta delle esimenti del caso fortuito e della forza maggiore, dello stato di necessità (art. 2045 c.c.) e dell’incapacità (art. 2046 c.c.).Mentre le seconde consentono alla vittima di usufruire di una qualche tutela, sia pure limitata (inibitoria e indennizzo), le prime lasciano il danneggiato senza tutela.), la temporaneità ovvero la superficialità del presunto danno. Tuttavia, perché il reato sussista è altresì necessario verificare se il padrone dell’animale abbia agito volontariamente o meno, così come se debba aver previsto la possibilità che il cane potesse imbrattare il muro. In poche parole il padrone doveva chiedere al cane dove voleva fare la pipì…

Dopo articolato ragionamento, la Corte ha così statuito, facendo vincere il buonsenso:

  1. E’ innegabile (il padrone, in altre parole, non può non sapere) che, se condotto sulla pubblica via, un cane può imbrattare una proprietà pubblica o privata;
  2. E’ innegabile che non è prevedibile il momento in cui il cane dovrà espletare il bisogno, il quale, peraltro, nemmeno potrà essere impedito;
  3. E’ innegabile, soprattutto laddove si considerino le grandi città, che gli animali di compagnia, salvo casi specifici, non espletano i bisogni all’interno di appartamenti ovvero di altri luoghi di privata dimora

Ad avviso della Corte, il comportamento del padrone è corretto se improntato a ridurre il più possibile il rischio (prevedibile ma non evitabile) che l’animale possa sporcare i beni di proprietà di terzi. 

Il padrone deve quindi governare diligentemente il rischio e vigilare attentamente sui comportamenti dell’animale, limitandone la libertà di movimento in modo che il cane desista –quanto meno nell’immediatezza- dall’azione. In poche parole il padrone deve “strattonare” il cane affinché questo non urini su determinati posti.

Nel caso di specie, con la sentenza n. 7082/2015 la Corte ha affermato che il padrone aveva sicuramente malgovernato il rischio a causa di disattenzione o imperizia nella conduzione dell’animale ma che, altresì, si era attivato in maniera corretta ed immediata per ripulire il palazzo.

Il fattivo comportamento del padrone è stato ritenuto determinante per affermare la mancanza dell’elemento psicologico richiesto (mancanza di volontà del padrone nel decidere dove il cane può fare la pipì) per la configurabilità del reato ex art. 639 c.p.

Il padrone del cane è quindi stato assolto, come pure il cane…

Il cane, pare affermare la Corte, può certamente continuare ad essere considerato il miglior amico dell’uomo, a patto tuttavia che l’uomo dimostri d’essere, a sua volta, il miglior amico del cane.

Andrea Begal

4ZAMPE ASSICURAZIONE MULTIRISCHI PER CANI E GATTI

Responsabilità proprietà animali

Responsabilità proprietà animali. Cancello (di nuovo) in tilt e cane “evade” mordendo due vicini. Risultato: niente caso fortuito e lesioni colpose per il padrone

gruppo cani e gatti

Responsabilità proprietà animali

di Marina Crisafi – Il padrone può liberarsi della responsabilità per i danni cagionati dal proprio animale soltanto dimostrando il caso fortuito. E tale era da considerarsi secondo il giudice di pace di Termini Imerese il mancato funzionamento di un cancello automatico che aveva consentito ad un cane di “evadere” dal giardino e scorrazzare libero per il residence e aggredire due uomini. Così, il padrone era stato assolto dall’accusa di lesioni colpose perché il fatto non costituisce reato, considerato verosimile che il cancello automatico mal funzionante si fosse aperto per un’interferenza coi telecomandi di altri cancelli, come già accaduto in passato per altri condomini.

Ma il procuratore generale presso la corte d’appello di Palermo non era dello stesso avviso e adiva la Cassazione per due motivi: anzitutto, il ripetersi della circostanza escludeva i caratteri dell’imprevedibilità del caso fortuito; in subordine, l’aver lasciato il cane libero di circolare nel proprio giardino non era comunque da considerarsi un “comportamento doverosamente adeguato” per evitare danni ai frequentatori del residence.

I giudici del Palazzaccio gli danno ragione: il giudizio è da rifare.

Il caso fortuito, si legge infatti nella sentenza n. 15713 del 15 aprile scorso, “si realizza quando un fattore causale, sopravvenuto, concomitante o preesistente ed indipendente dalla condotta del soggetto renda eccezionalmente possibile il verificarsi di un evento, assolutamente non prevedibile e non evitabile”.

Proprio la considerazione che l’evento, preso a fondamento della causa di punibilità si era già verificato, hanno proseguito i giudici, “è concettualmente incompatibile con il proprium del caso fortuito, appunto caratterizzato dall’imprevedibilità dell’accadimento, ossia dalla assoluta episodicità e straordinarietà”.

Risultato: ricorso accolto e sentenza annullata con rinvio per nuovo esame al giudice di pace di Termini Imerese, tenendo conto dell’inesatta e contraddittoria applicazione della disciplina del caso fortuito.

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