Lesioni personali stradali

superati 40 giorni di prognosi l’imputazione per il reato di lesioni personali stradali scatta d’ufficio

lesioni personali stradali - le criticità della legge
lesioni personali stradali

L’entrata in vigore della legge n. 41 del 2016, ha inserito nel codice penale il delitto di omicidio stradale (articolo 589-bis) per il quale è punito, a titolo di colpa, con la reclusione il conducente di veicoli a motore la cui condotta imprudente costituisca causa dell’evento mortale.

La stessa legge ha inoltre introdotto nel codice penale (art. 590-bis) il reato di lesioni personali stradali, le cui diverse fattispecie appaiono quasi del tutto speculari a quelle dell’omicidio stradale di cui al nuovo art. 589-bis.

A distanza di tre anni molte sono state le sentenze di condanna.

Ci preme soffermarci, in particolar modo sulle lesioni personali stradali: con l’introduzione della suddetta normativa è sufficiente causare incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni del danneggiato per un tempo superiore ai 40 giorni perché l’imputazione scatti d’ufficio.

Cosa vuol dire? Facciamo un banale esempio, frutto della casistica: un uomo, nel fare retromarcia, schiaccia il piede di un pedone, in prossimità delle strisce pedonali. Poiché la prognosi per le lesioni subite ha superato i quaranta giorni, l’automobilista viene denunciato d’ufficio, e dovrà subire un processo penale con il rischio concreto di revoca della patente per 5 anni e una condanna con reclusione da tre a dodici mesi, e alti costi da sopportare per la difesa.

Concentriamoci su quest’ultima, che non riguarda le sole spese per conferire l’incarico al miglior avvocato, ma anche quelle di perizia utili alla ricostruzione dell’avvenimento. La polizza di tutela legale da circcolazione, che copre le spese relative a qualunque caso relativo all’utilizzo e proprietà di veicoli, diventa necessaria nei casi di omicidio stradale e lesioni personali stradali.

Attendere che accada l’incidente sarebbe troppo tardi.

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Incidente stradale: il danno va risarcito integralmente anche se la riparazione è antieconomica

In una recente sentenza il GdP di Vibo Valentia ha sovvertito l’indirizzo acclarato, con sentenze di Cassazione, ed ha stabilito che la riparazione va risarcita integralmente, anche se antieconomica  

Incidente stradale: il danno va risarcito integralmente anche se la riparazione è antieconomica

Il 22 marzo, con sentenza nella causa civile iscritta al n. 1572/16, il Giudice di Pace di Vibo Valentia, dott. Ilario Giuseppe Longo, ha stabilito che:

nella determinazione del danno si deve preferire un criterio soggettivo che tenga conto del rapporto tra il bene medesimo e la sua utilizzazione economica da parte del proprietario (Cass. civ., sez. III, n. 9740/2002)

e per tale motivazione

non si può negare al danneggiato da un sinistro stradale il diritto a riavere il proprio veicolo perfettamente riparato e nuovamente funzionante, quando questo, per la sua particolare funzione e il suo ottimo stato di manutenzione, difficilmente possa essere sostituito da un altro veicolo parimenti usato e reperibile sul mercato.”

Indubbiamente questa sentenza (che trovate allegata) va in senso opposto alla consuetudine ed alle precedenti sentenze della Corte di Cassazione, che tanto hanno fatto discutere in passato i danneggiati , ovvero in caso di riparazione antieconomica il risarcimento non può superare il valore del veicolo nel momento di accadimento.

Come già scritto, il Giudice di Pace ha ritenuto che una riparazione antieconomica non può essere idonea a limitare il risarcimento al di sotto del danno effettivamente subito, rapportandolo al valore di mercato dell’auto: il diritto al risarcimento del danno, infatti, si giustifica per l’infungibilità del bene danneggiato.

Riassumendo “il danneggiato da un sinistro stradale ha diritto a che il suo veicolo torni ad essere “perfettamente riparato e nuovamente funzionante”, ogni qualvolta il mezzo, per la sua particolare funzione e il suo ottimo stato di manutenzione, non può essere sostituito con un altro usato reperibile sul mercato. (fonte StudioCataldi) 

Scarica il testo della sentenza risarcimento del danno antieconomico

La distrazione costa cara al gommista

Gommista condannato a pagare 400 mila € per aver montato un pneumatico con un solo bullone

La distrazione costa cara al gommista

Era dicembre 2007 quando Andrea F., oggi 43 enne, portò la sua autovettura dal gommista per un controllo e la convergenza delle gomme. Terminati i lavori il sig. Andrea si recò in officina per ritirare l’auto. Poche centinaia di metri ed avvenne lo schianto contro un platano di strada. A causa dell’incidente Andrea riportò lesioni permanenti all’arto sinistro, poi più volte operato nel corso tempo. L’Andrea da allora, proprio a causa di quelle lesioni, per camminare utilizza una stampella.

Grazie alle indagini svolte dal perito dell’assicurazione dell’infortunato si scoprì che la ruota anteriore sinistra aveva un solo bullone avvitato e che il primo movimento scomposto della gomma causò l’uscita di strada. Errore commesso da parte di chi eseguì la convergenza. A questo punto Andrea avviò una causa civile contro l’officina con una richiesta di risarcimento pari a 800 mila euro.

Nel 2013 il tribunale di Vicenza condannò il titolare dell’officina ad un risarcimento di 400 mila euro, ed anche la prima sezione civile della Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado del tribunale di Vicenza. All’azienda, che nel 2009 ha chiuso l’attività, rimane solo il ricorso alla cassazione.

Consigliamo sempre ai nostri clienti di attivare la copertura della responsabilità civile terzi, atta a salvaguardare il patrimonio aziendale da richieste di risarcimento per eventuali danni cagionati e di abbinare anche una polizza di tutela legale.

fonte http://newsulias.it

Perché sottoscrivere la garanzia tutela legale

La garanzia tutela legale è il naturale completamento di qualsiasi garanzia di responsabilità civile. Oggi vi diremo perché è necessaria abbinata alla polizza RCA.

Perché sottoscrivere la garanzia tutela legale

Perché con le legge 41/2016, conosciuta come la norma sugli omicidi stradali, ogni automobilista,  in  caso  di  incidente  stradale grave,  può essere  accusato  di  omicidio stradale e lesioni personali stradali. La legge non colpisce infatti solo i pirati della strada, cioè coloro che commettono incidente sotto l’effetto di alcol o stupefacenti, ma anche chi per distrazione, imperizia o fatalità, provoca un incidente con lesioni gravi o mortali. In questo caso è indispensabile avere al proprio fianco un legale.

Perché  ci  sono  casi  in  cui  non  può  essere  attivata  la  procedura  di  risarcimento  e  di conseguenza la tua Compagnia non può liquidarti il danno. In questi casi per ottenere il risarcimento  dall’altra  Compagnia  devi  provvedere  alla  gestione  autonoma  del  sinistro, per questo il supporto di un legale per recuperare il danno diventa importante. I casi in cui l’indennizzo diretto del danno NON si applica sono più numerosi di quel che si pensa:

  • Quando i veicoli coinvolti sono più di due
  • Quando uno dei due veicoli non è regolarmente assicurato
  • Quando uno dei veicoli non è stato immatricolato in Italia
  • Quando una delle parti coinvolte non è un veicolo a motore
  • Quando sono coinvolti pedoni, ciclisti o beni immobili
  • Quando uno dei veicoli è un ciclomotore con targhino
  • Quando il danno non è derivante da circolazione stradale
  • Quando le lesioni riportate provocano un invalidità superiore al 9%
  • Quando non c’è impatto tra i veicoli
  • Quando uno dei veicoli è una macchina agricola o un veicolo speciale

Perché a seguito di un sinistro può esserti sospesa o revocata la patente. In questo caso, per riottenerla è necessario l’intervento di un legale.

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Riforma Gelli responsabilità medica

Approvata martedì scorso con il si definitivo alla Camera la riforma Gelli sulla responsabilità medica

Riforma Gelli responsabilità medica

La riforma Gelli sulla responsabilità medica ha ricevuto il si definitivo della Camera. Introdotte molte novità, che elenchiamo in breve qui sotto:

  1. tentativo di conciliazione obbligatorio per le vittime della sanità
  2. il risarcimento diretto da parte dell’assicurazione
  3. fondo dedicato per gli indennizzi
  4. responsabilità contrattuale per la struttura sanitaria
  5. responsabilità extra contrattuale per il medico.

Importante il nuovo articolo 590-sexies, aggiunto al codice penale: “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”.

La disposizione, prevede al comma primo che “se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma”. Al secondo statuisce che “qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali” sempre che “le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto“.

Viene abrogato il comma 1 dell’art. 3 della legge Balduzzi (n. 189/2012), sulla colpa lieve.

Qui il testo della legge: Riforma Gelli responsabilità medica

 

Colpo di frusta accertamento possibile senza radiografie

Il colpo di frusta è risarcibile anche senza diagnosi strumentale. Così si ha stabilito la Cassazione con pronuncia numero 18773/2016

rc medica

Colpo di frusta accertamento possibile senza radiografie

La Corte di Cassazione scrive un nuovo capitolo sul “risarcimento” delle microlesioni (ad esempio il cosiddetto colpo di frusta) stabilendo che “non sempre la diagnosi strumentale è necessaria”.

Il medico legale, in sede di accertamento, può stabilire di quali strumenti ha bisogno per valutare un danno ed utilizzare quindi, anche metodologie diverse dalle radiografie.

I giudici, più precisamente, hanno affermato che l’articolo 32, comma 3-ter e 3-quater, del decreto legge n. 1/2012, va letto “in correlazione alla necessità (da sempre viva in siffatto specifico ambito risarcitorio), predicata dagli artt. 138 e 139 cod. ass. (che, a tal riguardo, hanno recepito quanto già presente nel “diritto vivente”), che il danno biologico sia “suscettibile di accertamento medico-legale”, esplicando entrambe le norme (senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti ad una “obiettività” dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti)”.

Per dovere di cronaca segnaliamo un’opinione “discordante”: Sul colpo di frusta nessuna «revisione»

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 13 giugno – 26 settembre 2016, n. 18773

Presidente Chiarini – Relatore Vincenti Ritenuto in fatto

1. – B.F. convenne in giudizio, dinanzi al Giudice di pace di Napoli, C.C. e la Milano Assicurazioni S.p.A. per sentirle condannare al risarcimento dei danni arrecati alla propria autovettura, nonché per le lesioni patite a seguito del sinistro stradale occorso in data (omissis) , da ascrivere a responsabilità del conducente dell’autovettura di proprietà della C. , assicurata presso la compagnia convenuta. Con sentenza del giugno 2009, l’adito Giudice di pace, nella contumacia dei convenuti, dichiarava inammissibile la domanda attorea di risarcimento dei danni arrecati all’autovettura, stante la carenza di legittimazione processuale attiva dell’attrice, e rigettava nel merito la pretesa di ristoro dei pregiudizi derivanti dalle lesioni personali patite a seguito dell’incidente, difettando una “dimostrazione convincente dei suoi elementi giustificativi“.

2. – Avverso tale decisione proponeva impugnazione B.F. , che il Tribunale di Napoli, con sentenza resa pubblica il 12 dicembre 2012, accoglieva parzialmente e, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava l’esclusiva responsabilità ex art. 2054, comma 3, cod. civ. di C.A. per la verificazione dell’incidente e condannava la Milano Assicurazioni S.p.A. al pagamento, in favore dell’attrice, della somma risarcitoria di Euro 505,61, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, nonché, in solido con la C. , al pagamento dei due terzi delle spese processuali del doppio grado di giudizio, che liquidava in complessivi Euro 1.074,00, di cui Euro 154,00 per esborsi ed Euro 920,00 per compensi, oltre accessori di legge; rigettava nel resto l’impugnazione.

2.1. – Per quanto ancora interessa in questa sede, il giudice d’appello – accertata la responsabilità per il sinistro de quo – in punto di liquidazione dei danni, riteneva dovuto il risarcimento volto a “remunerare gli interventi di riparazione del veicolo” di proprietà dell’attrice, da quantificarsi in Euro 505,61, oltre rivalutazione monetaria secondo indici Istat ed interessi legali, mentre escludeva il risarcimento per il c.d. “danno da fermo tecnico del veicolo incidentato”. A tal riguardo, il Tribunale sosteneva che, non essendo in re ipsa, detto danno non poteva essere liquidato in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., non avendo l’istante “neppure dedotto le circostanze rivelatrici della verificazione nella propria sfera giuridica di un danno materiale emergente ulteriore rispetto a quello normalmente discendente dalla necessità di disporre le opere, d’altronde di attuazione piuttosto rapida (nella specie, 4 giornate lavorative), di riparazione della vettura, di cui non è stata prospettata neppure la sostituzione provvisoria”.

2.2. – Il giudice di secondo grado confermava, poi, seppur con diversa motivazione, il capo della decisione impugnata con cui era stata respinta la domanda di risarcimento dei danni alla persona patiti dall’attrice, in quanto, stante l’applicabilità al giudizio de quo della norma dettata dall’art. 32, comma 3-quater, del d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, le “affezioni asintomatiche di modesta intensità non suscettibili di apprezzamento obiettivo clinico… riscontrate all’infortunata” non erano state dimostrate “con le rigorose modalità prescritte ex lege”.

2.3. – Infine, il giudice del gravame, in virtù del parziale accoglimento dell’appello, compensava ex art. 92, comma secondo, cod. proc. civ., le spese del doppio grado di giudizio nella misura di un terzo e poneva la restante quota a carico dei convenuti in solido tra loro, che liquidava d’ufficio secondo i parametri indicati dal d.m. n. 140 del 2012 e, dunque, senza prendere in considerazione le note specifiche di cui all’art. 75 disp. att. cod. proc. civ. depositate dal difensore dell’attrice.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre B.F. , affidando le sorti dell’impugnazione a tre motivi. Non hanno svolto attività difensiva in questa sede le intimate C.A. e la Milano Assicurazioni S.p.A..

Considerato in diritto

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., violazione degli artt. 2554, 2043, 2056, 2059, 1226 cod. civ., 185 cod. pen., 32 della legge n. 27 del 2012 (rectius: del d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazione, dalla legge n. 27 del 2012) e art. 139 cod. ass.. Il giudice di secondo grado, sulla base del presupposto che le lesioni personali patite da essa B. nel sinistro per cui è causa non erano state accertate visivamente o strumentalmente ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 1 del 2012, modificativo dell’art. 139 del d.lgs. n. 209 del 2005, avrebbe erroneamente respinto la relativa domanda risarcitoria, atteso che le diposizioni dettate dalla citata normativa in materia di riscontro medico-legale delle lesioni di lieve entità non possono trovare applicazione con riferimento a quei giudizi, come il presente, che erano già in corso alla data della loro entrata in vigore. In ogni caso, le lesioni contusive “alla spalla sinistra, allo emotorace sinistro ed alla cervicale” patite da essa attrice erano state accertate “visivamente come ritiene la legge” dal “sanitario di guardia al Pronto Soccorso” e ciò diversamente dalla “sospetta lesione ossea”, non accertata strumentalmente, ma neppure oggetto di richiesta risarcitoria, limitata al danno biologico temporaneo e non già permanente. Unitamente al danno biologico temporaneo il giudice di appello avrebbe dovuto liquidare anche il danno morale.

1.1. – Il motivo è fondato per quanto di ragione.

1.1.1. – Esso è privo di consistenza in riferimento alla postulata inapplicabilità nella presente controversia (decisa in grado appello con sentenza pubblicata il 12 dicembre 2012) della disposizione di cui art. 32, comma 3-quater, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, la quale stabilisce: “Il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”. Come precisato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014, la citata norma, avente ad oggetto le modalità di riscontro medico-legale delle lesioni di lieve entità a seguito di sinistro derivante dalla circolazione stradale, unitamente a quella del precedente comma 3-ter (modificativa del predetto art. 139 cod. ass.) concernente il danno biologico permanente (e il cui risarcimento non potrà aver luogo ove le lesioni di lieve entità “non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo”), “in quanto non attinenti alla consistenza del diritto, bensì solo al momento successivo del suo accertamento in concreto, si applicano… ai giudizi in corso (ancorché relativi a sinistri verificatisi in data anteriore alla loro entrata in vigore)” (così l’anzidetta sent. n. 235 del 2014). Trattasi, infatti, di norme (la prima, come detto, riguardante il danno biologico permanente, la seconda quello temporaneo) volte a stabilire l’esistenza e, eventualmente, la consistenza del danno alla persona e, dunque, ad esse è tenuto il giudice nel momento stesso in cui decide sul punto.

1.1.2. – Sono invece fondate le doglianze che impugnano la ratio decidendi della sentenza di appello là dove questa ha escluso che la B. abbia fornito la prova, secondo le “rigorose modalità prescritte ex lege”, delle lesioni lievi, di carattere non permanente, subite, in quanto ritenute “non suscettibili di apprezzamento obiettivo clinico”. Invero, il citato comma 3-quater dell’art. 32, così come il precedente comma 3-ter, sono da leggere in correlazione alla necessità (da sempre viva in siffatto specifico ambito risarcitorio), predicata dagli artt. 138 e 139 cod. ass. (che, a tal riguardo, hanno recepito quanto già presente nel “diritto vivente”), che il danno biologico sia “suscettibile di accertamento medico-legale”, esplicando entrambe le norme (senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti ad una “obiettività” dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti). Sicché, appare evidente l’errore in diritto (sub specie di vizio di sussunzione) commesso dal giudice di appello, il quale – pur dichiaratamente discostandosi dalla motivazione del primo giudice, che aveva ritenuto inattendibile il referto ospedaliero (e, dunque, prescindendo da tale valutazione) – ha escluso la risarcibilità del danno biologico temporaneo (quale unica pretesa azionata dall’attrice) in favore della stessa B. nonostante che detto referto medico avesse diagnosticato “contusioni alla spalla, al torace e alla regione cervicale guaribili in 7 giorni”, le quali lesioni, dunque, non potevano essere ritenute, di per sé, “affezioni asintomatiche di modesta intensità non suscettibili di apprezzamento obiettivo clinico” alla stregua dell’art. 32, comma 3-quater, del d.l. n. 1 del 2012.

2. – Con il secondo mezzo è denunciata violazione degli artt. 2043, 2054, 2056, 1223 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.. Il giudice d’appello avrebbe erroneamente negato il risarcimento del danno da “fermo tecnico” del veicolo incidentato in considerazione del fatto che l’istante non aveva provato di aver subito un danno materiale emergente (per spese di gestione del veicolo incidentato) ulteriore rispetto a quello derivante dall’inutilizzabilità dell’autovettura durante il periodo necessario alla sua riparazione, nonostante la prevalente giurisprudenza di legittimità ritenga che tale voce di danno in parola sia in re ipsa.

2.1. – Il motivo è infondato. Il Collegio intende aderire e dare continuità al più recente orientamento, in via di consolidamento, secondo cui il danno da “fermo tecnico” del veicolo incidentato non è risarcibile in via equitativa – cui è possibile ricorrere solo ove sia certa l’esistenza dell’an – ove la parte non abbia provato di aver sostenuto di oneri e spese per procurarsi un veicolo sostitutivo, né abbia fornito elementi (quali i costi assicurativi o la tassa di circolazione, sempre che la durata della riparazione non sia stata particolarmente breve, tale da rendere irrilevante l’entità di detti costi) idonei a determinare la misura del pregiudizio subito (tra le altre, Cass., 19 aprile 2013, n. 9626; Cass., 17 luglio 2015, n. 15089; Cass., 14 ottobre 2015, n. 20620). Si tratta, infatti, di indirizzo consentaneo al principio per cui anche il danno da “fermo tecnico” non può considerarsi in re ipsa (come invece opinato dalla ricorrente), quale conseguenza automatica del sinistro e della indisponibilità del veicolo, ma deve, invece, essere allegato e dimostrato in ragione della effettiva perdita patita dal danneggiato, in consonanza con la norma di cui all’art. 1223 cod. civ. (richiamata dall’art. 2056 cod. civ.). Sicché, è corretta la decisione del giudice di appello che ha escluso la risarcibilità di detto danno in ragione della rilevata rapida attuazione delle opere di riparazione del veicolo (4 giorni), senza che l’attrice avesse neppure allegato (prima ancora che dimostrato) di aver subito “un danno materiale emergente ulteriore a quello normalmente discendente dal bisogno di disporre le opere” anzidette.

3. – Con il terzo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e della tariffa professionale del 2 giugno 2004. Il giudice del gravame, senza tener conto delle specifiche note spese, di primo e di secondo grado, elaborate dal difensore dell’attrice ai sensi del d.m. n. 127 del 2004, avrebbe erroneamente liquidato d’ufficio le spese del doppio grado di giudizio secondo i parametri indicati dal d.m. n. 140 del 2012, nonostante l’attività professionale del detto procuratore si fosse esaurita ben prima dell’entrata in vigore della legge recante le nuove tariffe professionali.

3.1. L’esame della censura è assorbito dall’accoglimento, per quanto di ragione, del primo motivo di ricorso, concernente l’an debeatur sul diritto al risarcimento per il danno biologico temporaneo, dovendo il giudice del gravame, a seguito della cassazione della sentenza impugnata, nuovamente provvedere alla liquidazione delle spese processuali.

4. – Va, dunque, rigettato il secondo motivo di ricorso, accolto il primo per quanto di ragione e dichiarato assorbito il terzo motivo. La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, che dovrà delibare nuovamente la domanda risarcitoria della B. in riferimento al danno biologico temporaneo, tenuto conto dei principi giuridici di cui al p. 1.1.2. che precede. Il giudice del rinvio dovrà provvedere, altresì, alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il secondo motivo di ricorso, accoglie il primo motivo nei termini di cui in motivazione e dichiara assorbito il terzo motivo dello stesso ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

fonte www.studiocataldi.it

Responsabilità degli amministratori verso le società

Disciplina normativa e profili giurisprudenziali sulla responsabilità degli amministratori verso le società

D&OResponsabilità degli amministratori verso le società

Avv. Daniele Paolanti – Gli amministratori, in un contesto societario, sono ovviamente responsabili per i danni che determinano con il loro operato. Di conseguenza è lecito ritenere che detta responsabilità valga non solo nei confronti dei soci ma finanche nei confronti dei terzi. A livello terminologico è opportuno precisare come gli amministratori siano responsabili non verso i singoli soci quanto piuttosto verso la società, che è un’entità distinta rispetto sia ai soci che agli amministratori. Le responsabilità che possono scaturire dalla condotta degli amministratori possono essere molteplici ma si distinguono generalmente in civili, amministrative e penali. Ciascun amministratore è tenuto infatti all’assolvimento delle proprie funzioni nel rispetto dell’atto costitutivo ma, soprattutto, ad un rigore ed una diligenza commisurate alla natura dell’incarico assunto.

Fonte: articolo completo su www.StudioCataldi.it

I rischi connessi alla responsabilità amministrativa, sia per società con fini economici e fino alle associazioni senza scopo di lucro, possono essere assicurati. Leggi qui per maggiori informazioni.

Ci teniamo a far notare che un presidente (o altro “amministratore”) di un’associazione senza scopo di lucro è soggetto, tanto quanto quello di un’azienda, spesso prestando opera a titolo gratuita, senza alcun compenso.

Cos’è la polizza D&O?

Certificato di assicurazione auto: basta il supporto elettronico

Certificato di assicurazione auto: la circolare prot. 300/A/5931/16/106/15 del 1° settembre, del Ministero dell’Interno interpreta la dematerializzazione.

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Certificato di assicurazione auto: basta il supporto elettronico

La legge 27/2012, in vigore dal 18 ottobre 2015, ha cancellato l’obbligo di esporre sul parabrezza dell’auto il contrassegno. La norma non ha cambiato l’obbligo di conservare il certificato di assicurazione in caso di richiesta da parte degli organi  polizia.

Letta così, agli automobilisti rimaneva in carico l’onere di tenere sempre a bordo del veicolo il certificato di assicurazione.
E non era solo la normativa a rendere necessaria la conservazione in auto, ma anche la questione legata all’aggiornamento della banca dati delle copertura RCAuto, ancora lontana dal ricevere aggiornamenti tempestivi.

In mancanza quindi di diverse disposizioni la sola verifica telematica non era sufficiente alla certezza della copertura assicurativa e da qui l’assoluta necessità di avere con se il titolo.

Per la precisione “l’articolo 180 del Codice della strada continua a prevedere che chi circola senza avere a bordo il certificato è punito con una sanzione di 41 euro, che scendono a 25 quando si tratta di ciclomotori. In assenza del documento a bordo o comunque della prova certa dell’avvenuto pagamento, la stessa norma prevede che gli agenti invitino il conducente a presentarsi con gli originali in un comando di polizia, per farli visionare; in caso di mancato adempimento senza giustificato motivo, scatta una sanzione di 419 euro.”

La circolare (clicca qui per scaricare) fa chiarezza indicando che

…. in sede di controllo, può essere esibito agli organi di polizia stradale anche un certificato di assicurazione in forma digitale o una stampa non originale del formato digitale stesso, senza che il conducente possa essere sanzionato per il mancato possesso dell’originale …

 

Pensione, sei mattoni per costruire una rendita di scorta senza aspettare

La Busta arancione sta arrivando nelle case. Tutto quello che si può fare per «rimpolpare» l’assegno Inps, a partire da oggi. Dallo scorrere degli anni al possibile aiuto delle aziende (http://www.intermediachannel.it/ di Roberto E. Bagnoli e Andrea Carbone – Corriere Economia)

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Pensione, sei mattoni per costruire una rendita di scorta senza aspettare

I dati

Le simulazioni realizzate in esclusiva per Corriere Economia da Progetica, società indipendente di consulenza in pianificazione finanziaria e previdenziale, mostrano che, pur in un periodo di scarse risorse disponibili da investire per molti italiani, soprattutto se sono giovani, chi vuole cercare di migliorare il proprio futuro pensionistico può contare su sei preziosi alleati. Eccoli: il tempo, i mercati finanziari, le agevolazioni fiscali sulla previdenza integrativa, la liquidazione (Tfr) e il contributo aziendale (entrambi nel solo caso dei lavoratori dipendenti), e infine il riscatto degli anni di laurea.

«Il progressivo invio della Busta arancione Inps a sette milioni di lavoratori ha riacceso i riflettori sulle pensioni — sostiene Andrea Carbone, partner di Progetica —. Si ritorna a parlare della necessità della previdenza integrativa, e di una qualche flessibilità nel pensionamento. Le prime verifiche a caldo invitano a prendere con spirito critico le stime Inps che sono utili per accendere un faro sul problema. Ma che si basano su parametri troppo ottimistici per quanto riguarda sia la crescita del Pil che quella delle retribuzioni».

I temi

Questi temi saranno anche al centro della Giornata nazionale della previdenza e del lavoro, la tre giorni organizzata da Itinerari previdenziali (presieduta da Alberto Brambilla) che si apre domani a Napoli. Nel corso delle prossime settimane la Busta arancione sarà inviata a sette milioni di lavoratori italiani che non dispongono del Pin Inps, cioè del codice per accedere al sito e provare a farsi i calcoli per conto proprio.

Che cosa è utile fare quando arriva? «E’ necessario in ogni caso dotarsi del Pin o dello Spin, la credenziale unica di accesso ai servizi on line della pubblica amministrazione — risponde Carbone —. A differenza di quella cartacea, che utilizza un parametro standard, la versione elettronica offre diverse possibilità di simulazione e personalizzazione. Una volta entrati, il primo passaggio è verificare sull’estratto conto contributivo che l’intera vita lavorativa sia stata registrata in maniera corretta. Secondo l’Inps, del resto, circa il 20% degli utenti della Busta arancione ha riscontrato anomalie. Se il passato contributivo è in regola, si può pensare al futuro effettuando una o più simulazioni con parametri più prudenti per la crescita del Pil e anche sulla crescita della retribuzione». Quelli utilizzati di default nella Busta arancione si basano per entrambe le variabili su incrementi annui dell’1,5% in termini reali, cioè tenendo conto dell’inflazione: un dato che, per quanto riguarda il Pil, contrasta decisamente con la recessione di cui soffre l’economia italiana da molti anni a questa parte.

1) Il Fisco è generoso con i previdenti. Meglio approfittarne

Il Fisco dà una grossa spinta alla previdenza di scorta. Per un trentenne con reddito netto di mille euro al mese e versa un contributo di mille euro l’anno, il beneficio fiscale è di 270 euro l’anno: moltiplicato per i quarant’anni di versamenti sino al pensionamento (ipotizzato a settanta) il beneficio complessivo è di 11.366 euro. La prestazione finale sarà tassata invece a titolo definitivo con un’aliquota molto bassa, appena il 9%. Per un quarantenne con una retribuzione netta di millecinquecento euro, il beneficio fiscale è anch’esso di 270 euro l’anno e 10.565 per l’intero programma previdenziale, mentre la rendita sarà tassata con un’aliquota del 10,8%. L’ultimo esempio è relativo infine a un cinquantenne che ha una retribuzione attuale di duemila euro netti il mese e ne versa mille sempre all’anno, per i diciotto che gli restano al pensionamento. Il beneficio fiscale è di 380 euro l’anno e 6.840 complessivi, mentre la prestazione finale sarà tassata con un’aliquota del 14,1%.

«Malgrado l’incremento dall’11,5% al 20% della tassazione sui rendimenti annuali, il regime fiscale sulla previdenza complementare rimane molto favorevole — sottolinea Carbone —. I versamenti sono infatti deducibili sino a 5.164 euro l’anno. Le agevolazioni riguardano soprattutto la prestazione finale sotto forma di rendita vitalizia o capitale in un’unica soluzione, possibile sino al 50% del montante maturato. Vengono tassati infatti con un’aliquota del 15%, diminuita dello 0,30% per ogni anno di partecipazione successiva al quindicesimo, con uno sconto che può arrivare al 6%». Sono soggette a una tassazione piuttosto favorevole anche le anticipazioni (somme in acconto sul montante maturato che si possono ottenere in determinate ipotesi) e quelle ottenute a titolo di riscatto, per esempio nei casi di disoccupazione o cassa integrazione guadagni.

2) Le due missioni della laurea: aumenta la pensione complessiva, lasciare in anticipo è più complicato

In certi casi consente di staccare prima dal lavoro: in tutti, invece, aumenta la ricchezza pensionistica complessiva. Il riscatto degli anni di laurea è uno dei più forti alleati su cui può contare chi vuole migliorare il proprio futuro previdenziale, anche se piuttosto costoso. «Le simulazioni in tabella non sono universali — spiega il partner di Progetica —. Ogni lavoratore dovrà valutare attentamente la propria posizione. Normalmente, solo per chi ha iniziato a lavorare presto, verso i 25 anni, il riscatto degli anni di laurea può servire ad anticipare il pensionamento. Per coloro che invece hanno iniziato stabilmente oltre i trent’anni, potrebbe non bastare per smettere prima».

Nelle tabelle sottostanti un trentenne di oggi, per il quale l’età di pensionamento è stimata a 70 anni e 5 mesi potrebbe staccare a 68 e 4 con un riscatto di tre anni di studi, e a 66 e 2 se questo è di cinque anni. Per un quarantenne che ha un’età di pensionamento stimata a 69 anni e 5 mesi, il riscatto di tre anni consentirebbe di anticipare a 67 e 4, quello di cinque anni a 65 e 2 mesi. L’ultimo caso è relativo infine a un cinquantenne che ha un’età di pensionamento stimata a 68 anni e tre mesi: riscattando tre anni potrebbe staccare a 66 e 2, con cinque potrebbe smettere di lavorare a 63 anni e 11 mesi. In tutti e tre i profili, il riscatto consente di anticipare il pensionamento perché sono state ipotizzate una data d’inizio lavoro a 25 anni e una vita lavorativa senza interruzioni contributive. Se si fosse cominciato dopo, l’effetto sarebbe stato molto minore o del tutto assente. Altro aspetto da prendere in considerazione è quello della ricchezza complessiva ricevuta nel corso della pensione in base all’aspettativa di vita: sotto questo profilo il riscatto è sempre conveniente. «Se da un lato smettere prima significa avere un assegno più basso — sottolinea Carbonedall’altro è maggiore il numero di anni nei quali lo si percepisce».

Così, per esempio, un trentenne che ha una pensione di 1.749 euro il mese, in base alla sua aspettativa di vita otterrebbe in tutto 446.513 euro. Riscattando tre anni il vitalizio si ridurrebbe a 1.645 euro il mese, 100 in meno, ma la ricchezza pensionistica complessiva aumenterebbe a 462.733 euro il mese, il 4% in più. Con cinque anni la pensione scenderebbe a 1.492 euro netti al mese, ma le entrate pensionistiche ricevute complessivamente sarebbero pari a 458.486 euro, il 3% in più. Anche nel caso di un quarantenne e di un cinquantenne il riscatto consente di aumentare la ricchezza pensionistica complessiva. La convenienza va valutata caso per caso, ma il riscatto è comunque un’opzione molto interessante anche per le forti agevolazioni fiscali di cui beneficia: gli importi versati, infatti, sono interamente deducibili dall’imponibile in 120 rate mensili senza il pagamento di interessi. Ovviamente prima di decidere se riscattare oppure no, bisogna anche riflettere se la stessa somma richiesta non sia meglio impiegarla in altro modo. Magari investendola sui mercati finanziari in modo da diversificare il rischio e non essere troppo dipendenti, nel bene e nel male, dalle sole performance dell’Azienda Italia o dalle manovre di bilancio pubblico che possono incidere sul quando e il quanto della pensione oltre che sulla validità del riscatto.

3) Vuoi cento euro al mese netti? Devi versarne 33 per 40 anni

Una pensione di scorta da cento euro netti al mese: è un obiettivo raggiungibile con un limitato sacrificio economico, a patto di cominciare prima possibile. Le simulazioni realizzate da Progetica mostrano come il tempo sia un importante alleato su cui può contare chi vuole compensare con la previdenza integrativa una pensione di base destinata a essere sempre più ridotta. «Per ottenere una rendita vitalizia di 100 euro al mese, un trentenne dovrebbe versare 33 euro, sempre al mese, sino al pensionamento dopo quarant’anni», spiega Carbone.

Ma se avesse iniziato cinque anni prima, ne sarebbero bastati 27, il 17% in meno. In totale sono quasi 3.000 euro in meno. Un quarantenne cui mancano ventinove anni alla pensione dovrebbe versarne 56. Al cinquantenne che davanti ha ancora diciotto anni di lavoro ne servono quasi il doppio, 108 euro al mese. Anticipando di cinque anni, in entrambi i casi il minor costo sarebbe di oltre il 20%. Le tabelle sottostanti mostrano anche il costo del ritardo nell’avvio del programma previdenziale. Cominciando cinque anni dopo, un trentenne dovrebbe versare quaranta euro al mese, un quarantenne 73 e un cinquantenne 162, sempre per ottenere al momento del pensionamento una rendita integrativa pari a cento euro al mese. Le simulazioni di Progetica ipotizzano una continuità di versamenti sino all’età della pensione e l’adesione a un fondo pensione bilanciato-azionario con il 30% di titoli obbligazionari. Vengono considerati i costi medi di un fondo pensione aperto (promosso da compagnie d’assicurazione, banche, Sim e Sgr), in funzione della durata. Tutti i valori sono al netto delle tasse e dell’inflazione.

Busta arancione - Tempo - Tabella 3 (Elaborazione Progetica - Corriere Economia 09.05.2016) Imc

4) Chi rischia investendo in azioni può puntare ad alzare la posta. Pagando la metà strada facendo

La pensione di scorta è in azione: solo accettando una qualche dose di rischio sui mercati (adeguata naturalmente si può ottenere una rendita integrativa adeguata con un esborso sostenibile. Un trentenne che vuole ottenere al momento del pensionamento una rendita integrativa di cento euro netti al mese dovrebbe versarne 33 in una linea bilanciata-azionaria, sino al pensionamento fissato a settant’anni. Con una garantita, invece, il conto salirebbe a 54 euro, il 65% in più. E anche per un quarantenne e un cinquantenne, la tranquillità di una linea garantita ha un maggior costo. Per ottenere al momento del pensionamento lo stesso obiettivo, il primo deve versare per ventinove anni 56 euro se opta per un comparto bilanciato e 80 se si rifugia invece nel porto tranquillo di un garantito. Per un cinquantenne, che davanti a se ha ancora diciotto anni di lavoro, il contributo da investire è di 108 euro al mese con un bilanciato e 135 con il garantito.

«Nella previdenza integrativa, investire in una linea che ha una componente azionaria aiuta a ottenere rendimenti migliori nel medio-lungo periodo», spiega il partner di Progetica. Le linee a basso rischio garantiscono infatti dalle oscillazioni di breve periodo dei mercati finanziari, ma pregiudicano la crescita nel lungo termine. Nelle tabelle sottostanti sono stati considerati i costi medi di un fondo pensione aperto: tutti i valori sono in termini reali, tengono conto cioè dell’inflazione.

Busta arancione - Mercati - Tabella 4 (Elaborazione Progetica - Corriere Economia 09.05.2016) Imc

5) Il capitale cresce più velocemente se c’è la spinta del datore di lavoro. Ma serve l’accordo aziendale

Il contributo aziendale, che spetta solo a chi aderisce, fa la differenza nel determinare la convenienza del fondo pensione. Nelle simulazioni realizzate da Progetica viene considerata la pensione integrativa netta che si può ottenere grazie a un contributo del datore di lavoro pari all’1% della retribuzione. «Per esempio, un trentenne con un reddito attuale netto di mille euro il mese — spiega Carbone può attendersi al momento del pensionamento, ipotizzato a settant’anni, una pensione integrativa di cento euro il mese se partecipa al fondo in una linea che garantisce la restituzione dei contributi versati, e di centocinquanta se opta invece per una bilanciata-azionaria: metà di queste rendite verrebbe finanziata dal datore di lavoro».

Per un quarantenne con un reddito netto attuale di millecinquecento euro netti il mese e che davanti a sé ha ancora ventinove anni di lavoro, il contributo aziendale da solo vale una pensione integrativa di 89 euro con un comparto garantito e 122 con un bilanciato-azionario. Per un cinquantenne con un reddito attuale di duemila euro netti il mese e pensionamento a 68 anni, infine, la rendita mensile integrativa è pari a 62 euro il mese nel primo caso e 77 nel secondo. Attenzione però: ha diritto al contributo aziendale solo il lavoratore che s’iscrive al fondo pensione aziendale o di categoria, oppure a quello aperto (promosso cioè da compagnie d’assicurazione, banche, Sim e Sgr) su base collettiva, cioè in seguito a un accordo fra azienda e dipendenti. Anche in queste simulazioni è stata ipotizzata la continuità di versamenti sino alla pensione e sono stati considerati i costi medi dei fondi aperti in funzione della durata prevista. Tutti i valori sono al netto delle tasse e in termini reali.

Busta arancione - Contributo aziendale - Tabella 5 (Elaborazione Progetica - Corriere Economia 09.05.2016) Imc

6) Mettere sul piatto la liquidazione: si investe sul proprio futuro senza ridurre il budget di oggi

Destinare obbligatoriamente la liquidazione alla pensione di scorta. E’ una delle proposte di cui si sta discutendo per rilanciare una previdenza complementare che sarà sempre più necessaria, soprattutto per i giovani. Il Tfr (pari al 6,91% della retribuzione) rappresenta nel caso dei lavoratori dipendenti un’importante risorsa su cui contare. «Il conferimento del Tfr alla previdenza complementare evita di doversi privare nell’immediato di risorse — spiega il partner di Progetica —. Un trentenne con un reddito netto attuale di mille euro il mese che conferisce il Tfr a un fondo pensione può attendersi al pensionamento (ipotizzato a settantenni) una rendita integrativa di 344 euro al mese se s’iscrive a una linea che garantisce la restituzione dei contributi versati, e 519 se sceglie invece per una bilanciata-azionaria con il 70% di azioni».

Un quarantenne che destina a un fondo pensione il Tfr relativo a un reddito netto attuale di 1.500 euro il mese può attendersi al pensionamento, a 69 anni, una pensione integrativa di 307 con il comparto garantito e 421 con il bilanciato-azionario. Per un cinquantenne con un reddito netto di duemila euro il mese, infine, la rinuncia al Tfr (che in azienda si rivaluta con un tasso dell’1,5%, più il 75% dell’inflazione) può consentire di ottenere al pensionamento (a 68 anni) una pensione integrativa di 215 euro al mese se l’aderente sceglie una linea garantita, e 265 se opta invece per una bilanciata. Le simulazioni di Progetica presuppongono la continuità di versamenti alla previdenza integrativa sino all’età della pensione; tutti i valori sono al netto delle tasse e in termini reali, tengono cioè conto dell’inflazione.

Busta arancione - Tfr - Tabella 6 (Elaborazione Progetica - Corriere Economia 09.05.2016) Imc

Omicidio stradale: i punti cardine

Approvato al senato il reato di omicidio stradale. In attesa della pubblicazione in GU vediamo i punti salienti.

sentenza

Omicidio stradale: i punti cardine

L’Omicidio stradale diventa reato penale autonomo e, dopo l’approvazione di ieri in senato, l’iter si chiuderà con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Omicidio stradale

Diventa reato autonomo con tre possibili varianti. La pena rimane quella già prevista, da 2 a 7 anni di reclusione, per “la base” ovvero per morte causata da violazione del Codice della strada. Più pesante l’ipotesi di morte provocata da conducente in stato di ebberezza o sotto effetto di sostanze stupefacenti, con tasso superiore a 1,5 gr/l, che prevede una pena detentiva che va da 8 a 12 anni. Infine la terza ipotesi, con reclusione da 5 a 10 anni se lo stato di ebbrezza è lieve, ovvero superiore a 0,8 gr/l, o nel caso di guida particolarmente pericolosa quale ad esempio l’eccesso di velocità o la guida contromano.

Lesioni stradali

L’ipotesi  di reato più grave – omicidio e lesioni – si appliccherà a camionisti, autisti di autobus e in genere ai conducenti di mezzi pesanti.Per costoro, se guidano sotto effetto di droghe o alzano il gomito,anche in presenza di ebbrezza lieve saranno applicate le aggravanti di pena per entrambi i reati.

Fuga del conducente

In caso di fuga del conducente l’aumento di pena può arrivare fino a due terzi in più e comunque mai inferiore a 5 anni per omicidio stradale e 3 anni per lesioni stradali. Aggravanti anche nel caso che il conducente provochi morte o lesioni a più persone. Riduzione a metà della pena se viene stabilito un concorso di colpa, sia della vittima che di eventuali terzi coinvolti.

Termine di prescrizione raddoppiato

Raddoppio dei termini di prescrizione e arresto obbligatorio in flagranza di reato nei casi più gravi.

Prelievo coattivo

Il Giudice potrà disporre il prelievo coattivo di campioni biologici per la determinazione del DNA. In casi urgenti la richiesta può arrivare anche dal Pubblico Ministero.

Revoca patente

In caso di condanna, anche per patteggiamento, per entrambi i reati verrà revocata automaticamente la patente. Potrà essere nuovamente conseguita dopo almeno 5 anni (nell’ipotesi di lesioni) e 15 anni (nell’ipotesi di omicidio). Il termine però è aumentato nei casi più gravi: ad esempio, se il conducente si è macchiato di fuga dal luogo dell’incidente per riavere la patente dovranno trascorrere almeno 30 anni dalla revoca. Per le licenze di guida straniere vi sarà invece l’inibizione alla guida sul territorio italiano per un periodo analogo.

Omicidio stradale leggi il testo integrale: Clicca qui


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